La “Juventinidad” di John Elkann

Caro Direttore,
leggo con una notevole sorpresa la lettera che Giorgio Levi, ex giornalista de La Stampa, ti ha inviato a proposito della mia riproposizione, alla luce di vicende di grande attualità,  di un brano del suo libro uscito cinque anni fa e, debbo dire, passato abbastanza inosservato (a me è stato segnalato, ma questo non vuol dire, solo un paio di giorni fa da un giornalista proprio della Stampa). Il mio non è un “pezzo” ma un brevissimo contributo, tra virgolette e citando la fonte da cui è tratto, per cercare risolvere un mistero: capire quanto a John Elkann stia a cuore la Juventus. E, quindi, a cercare di misurare la sua, chiamiamola juventinidad di cui non esistono per la verità molte prove. A parte la fredda proprietà del pacchetto azionario… Dunque, la importante testimonianza di Levi che proviene dall’interno della “Stampa” proprio nella sera in cui arrivarono (e sarebbe bene conoscere la fonte da cui partivano quei fax e un giornalista curioso e presente in quella circostanza dovrebbe dirci se questo aspetto destò o meno il suo interesse professionale…) le prime trascrizioni di una parte infinitesimale delle intercettazioni telefoniche operate ai danni di Luciano Moggi.

Credo che quell’episodio, e l’intervento nelle 24 ore successive di John Elkann nei confronti del bravissimo direttore Giulio Anselmi, per “tirargli le orecchie” poiché non lui ma il giornale (e chi era in plancia in sostituzione del direttore) aveva pubblicato con scarsa evidenza quella “notizia” che dava l’avvio alla cosiddetta “Farsopoli”, sia un elemento indiziario importante per capire quanto a John stia a cuore la Juve, così come altre bandiere di famiglia (e anche suo fratello, nella disgraziata circostanza che lo aveva visto protaonista e vittima nella famosa notte con Patrizia).

Mi pare che l’intervento dell’editore, lasciando ovviamente perdere i lecchineschi sermoni di oggi sull’obiettività e i richiami che allora arrivavano da quel pulpito (Anselmi non aveva certo bisogno di richiami vista la sua notevole esperienza e difatti nei giorni successivi rimediò a quell’errore e non certo per quell’intervento elkanniano), comprovino ciò che io desumo dall'esame dei fatti: e cioè che John Elkann non dimostrò, in quella come in altre occasioni, un eccessivo attaccamento alla Juventus, al buon nome del club di cui suo Nonno e lo zio della madre di Elkann erano ben più che grandi tifosi, un grande rispetto per le tradizioni della Famiglia.

Se all’epoca dei fatti, Andrea non era ancora presidente questo non significa nulla di fronte al tema principale. In quella occasione, come in altre precedenti e successive a quel periodo, John Elkann si comportò da juventino o no? Cercò di tutelare il buon nome della Juve o no? Cercò di fare in modo, da editore, che La Stampa pubblicasse le accuse, ma desse anche spazio alle difese (non certo quella di Zaccone, pardon dell’avvocato scelto dall'allora presidente della Juve, Grande Stevens) o no?

Se Giorgio Levi aveva bisogno di uno spunto per omaggiare John Elkann inchinandosi alla sua “correttezza morale”, sono lieto di averglielo fornito. Ma, mi viene da chiedergli: è forse “pentito” di quello che ha scritto cinque anni fa, aspettando di andare in pensione per esprimere giudizi così poco lusinghieri e irridenti verso due professionisti come Giulio Anselmi e Roberto Bellato ai quali avrebbe certo potuto manifestare di persona tutta la sua evidente, a leggere certi passaggi, disistima e avversione? Per quanto riguarda la juventinidad di Jacky e il suo scarso attaccamento alle “bandiere” di Famiglia e del Nonno, mi sovviene un'inevitabile considerazione: che cosa direbbe oggi l’Avvocato Agnelli, se fosse in vita, dopo aver visto suo nipote osare l’inosabile, e cioè vendere “La Stampa” e per di più all’Ing. Carlo De Benedetti?  Un caro saluto e buon lavoro.

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