Dopo il referendum si vada al voto

Abbiamo sempre sostenuto la sovranità del popolo, chiamato (quando è consentito) ad esprimersi attraverso lo strumento del voto. Purtroppo la campagna elettorale che ha portato al voto sul quesito referendario è stata evidentemente atipica, vissuta tra le difficoltà della gestione delle norme di prevenzione al contagio e affrontata prevalentemente in estate, quando la gente, appena terminato il lockdown ha oggettivamente avuto poche occasioni per affrontare seriamente la discussione. A questo si sommano le questioni partitiche: nel 2016 il referendum promosso da Matteo Renzi aveva chiare connotazioni politiche e chiare indicazioni di voto da parte di tutti i principali partiti.

La differenza di consapevolezza dell’elettorato tra questo referendum e quello del 2016 è molto evidente: avere i partiti politici chiaramente schierati, e schierati secondo un asse maggioranza/opposizione oppure destra/sinistra, nel 2016 aveva consentito il proliferare di iniziative, comizi e dibattiti che miravano a spiegare esaustivamente le motivazioni che portavano a votare SÌ oppure NO.

Tutto questo è stato affidato, in questa occasione, ai comitati per il No o per il Sì, spesso costituiti da esponenti politici che prendevano le distanze dal loro partito di riferimento, senza potersi per questo esprimere con forza e vigore. Laddove si è deciso di lasciare libertà di scelta all’elettorato invece non si è fatto quasi nulla, limitandosi ad una campagna tra parenti e amici quando proprio non se ne poteva fare a meno.

Personalmente trovo che si sia persa una grande occasione per mostrare una maturità politica che forse non tutti i cittadini italiani hanno raggiunto: la possibilità di affermare che la classe politica, o parte di essa, ha deluso, che si chiede un cambio rotta, che si avverte la necessità di rendere più efficiente il Parlamento e di ridurre i privilegi della politica. Ma per fare questo, e qui si sarebbe dovuta mostrare la maturità politica, non si doveva aggredire indistintamente il palazzo e le sue istituzioni, chiedendo un taglio orizzontale che non guarda in faccia nessuno e che non tiene in considerazione che ci sono parlamentari più bravi ed altri meno bravi, che ridurne il numero non significa avere deputati più operosi o senatori meno pagati. E questo è mancato.

Oggi invece discutiamo l’esito di un referendum su un tema sul quale il Partito Democratico in parlamento si disse contrario e ha fatto campagna per il SÌ, la Lega votò a favore ma ha lasciato libertà di scelta ai propri elettori. Nessuna indicazione di voto è arrivata da Forza Italia, contrari Italia Viva e Azione, favorevole Fratelli d’Italia. Capite bene che sono saltati gli schemi, l’elettorato si è sentito disorientato, non ha trovato differenze nette tra destra e sinistra né tra forze di governo e forze di opposizione e si è così affidato alle proprie sensazioni.

Il quesito era posto in modo da solleticare la pancia dell’elettorato, la campagna elettorale del Movimento 5 Stelle si è scatenata contro la casta e il palazzo del potere, benché siano proprio loro ad occuparlo, e questo ha fatto sì che i cittadini esprimessero una frustrazione ed un malcontento nei confronti dei parlamentari che, profumatamente pagati, appaiono poco produttivi e molto corruttibili.

È una narrazione sbagliata, demagogica e populista, cui però non è stata anteposta una adeguata campagna che spiegasse che il nostro sistema decisionale si basa su un inutile e lentissimo bicameralismo perfetto, e che se la volontà fosse quella di rendere più efficiente il parlamento sarebbe stato sufficiente abolire il bicameralismo e con esso il Senato, dando maggiori competenze e autonomie alle Regioni e agli enti locali. Se invece l’obiettivo fosse stato esclusivamente il risparmio per i conti dello Stato, il taglio degli stipendi ai parlamentari era lì, a portata di mano. Invece questa riforma danneggia il funzionamento del parlamento, congestiona le commissioni di lavoro, attribuisce più potere di scelta alle segreterie di partito e meno agli elettori e non raggiunge nessuno degli obiettivi dichiarati dei proponenti.

C’è un dato sicuramente da tenere in considerazione: oltre il 60% degli italiani considerano, di fatto, illegittimo il parlamento in carica, perché ha appena confermato le votazioni di Camera e Senato che chiedevano e ritenevano opportuno il taglio di 345 parlamentari. A fronte di ciò l’unica mossa coerente con l’esultanza di Luigi Di Maio per il risultato referendario sarebbe quella di recarsi dal Presidente della Repubblica chiedendogli di sciogliere le camere per tornare al voto con un parlamento ristretto. Sarebbe incoerente, inaccettabile e farsesca la permanenza al governo di Movimento 5 Stelle e Partito Democratico che hanno chiesto ed ottenuto il consenso dei cittadini su questo tema.

*Carlo Emanuele Morando, capogruppo Lega Salvini Piemonte Circoscrizione IV Torino 

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