L'insegnamento di Berta

Nei miei anni da segretario generale dei metalmeccanici Cisl di Torino ho avuto il privilegio di conoscere Giuseppe Berta e di invitarlo più volte nell’organismo direttivo della Fim. Con lui si è sviluppata una buona intesa che col tempo, anche attraverso i suoi interventi pubblici periodici, mi è servita per orientarmi sui temi spinosi dell’evoluzione industriale torinese e mondiale. È stato un formatore non solo nelle aule auliche dell’università Bocconi ma nel suo agire quotidiano. Ascoltarlo significava sempre imparare qualcosa di nuovo. Non faceva lezioni, narrava, mettendoci anche la sua vita vissuta, le sue esperienze personali o almeno così lo ricordo nei momenti in cui è venuto a confrontarsi con il sindacato, con la Fim.

Quando venne a presentare il suo libro sul viaggio a Detroit fu proprio così: dal racconto del suo rapporto con il taxista alle relazioni personali che aveva intrecciato in quel viaggio narrandoci non solo la fabbrica fordista ma la vita quotidiana a Detroit. E poi nel 2014 presentammo la sua pubblicazione sulla produzione intelligente e il viaggio nelle nuove fabbriche. Temi che abbiamo ripreso, anche senza di lui, per continuare a discutere del futuro torinese dell’industria e dell’auto.  Un riferimento.

In questi giorni è stato definito un “amico della Cisl”, sicuramente sì ma disincantato sul sindacato e poi purtroppo  la Cisl non ha colto le sue sollecitazioni. Ricordo che ben oltre dieci anni fa la Cisl torinese organizzò alcuni incontri informali con il professor Berta e altri due esperti di automotive. Al terzo incontro, proprio Berta disse al segretario; ora ci siamo visti tre volte adesso tocca alla Cisl fare sintesi delle discussioni e fare una proposta alla città. Non se ne fece nulla.  Stesso scenario qualche anno fa, la Cisl organizzò un convegno su Torino con, sempre Berta, Castellani e Calderini. Ci fu una scarsa partecipazione del gruppo dirigente e finì tutto lì. Occasioni perse.

Il libro che ho consumato di più con sottolineature, commenti e anche utilizzato in questi anni rimane “Chi ha fermato Torino?” scritto dal Professore insieme ad Arnaldo Bagnasco e Angelo Pichierri. Un’analisi puntale lucida che non ha avuto l’ampiezza di ascolto che meritava, anzi se guardiamo all’uso personale e autoreferenziale che si fanno di importanti istituzioni del territorio viene da pensare al collasso di una classe dirigente che dovrebbe, altruisticamente e disinteressatamente, occuparsi del bene comune.

Sergio Marchionne nel 2018 e Berta in questi giorni rappresentano due perdite non colmate. Sono entrambi senza eredi. Mentre emerge un’analisi lucida del Professor Bertoldi dell’Università di Torino su Stellantis e sul suo maggiore azionista, viene strapazzato dai media sulla vicenda dell’eredità Agnelli e sul suo ruolo nel Gruppo per il futuro degli stabilimenti torinesi. Attacchi che sono concausa o conseguenza del suo progressivo distaccamento da Torino?

Persona molto umana, affabile, disponibile, più volte negli incontri con i delegati sindacali dimostrava il piacere di stare con le persone che in fabbrica ci vivono, faticano, rappresentano i lavoratori. Ascoltava, anche se, a volte, dava l’impressione di essere distratto, altrove, forse una vena di timidezza e invece era ben presente e rispondeva, mai con spocchia, anche alle domande o riflessioni diciamo più … ingenue!

Anche se negli ultimi anni, a causa della lunga malattia, era meno presente mi è capitato più volte, di fronte all’evolversi della situazione dell’industria dell’automotive e del futuro torinese di sentire l’utilità di avere un dialogo, ormai impossibile, con lui. Persona semplice, ricordo di averlo incontrato un pomeriggio tardi in via Garibaldi, rientrava da Milano, e lo salutai pensando che ricambiasse frettolosamente e invece si fermò a parlare come se ci fossimo lasciati cinque minuti prima e ci conoscessimo da vent’anni. Non faceva pesare il suo ruolo, la sua professionalità, la sua competenza: metteva tutto a disposizione.

Mancherà molto al mondo del lavoro, mancheranno le sue riflessioni che “scartavano” dalle analisi consuete. Stimolante, peccato che non tutti, anche nel sindacato siano stati capaci di coglierne lo spirito ma seguirlo, sostenere le sue teorie e visioni presupponeva personalità e voglia di mettersi in gioco anche dentro gli schemi rigidi e verticali dell’organizzazione sindacale.

Mancherà a Torino ma adesso è ora di riaprire il suoi libri, studiare, riflettere e farsi venire delle idee. Grazie Professor “Beppe” Berta.

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