Più forti dalla crisi

La richiesta in ordine sparso  ma a gran voce degli imprenditori, per la riapertura delle aziende, a volte anche in chiave un po’ scompostamente antigovernativa, pone la domanda sulla fase 2 e in quali condizioni riaprire  e quando. Sul quando deciderà il Governo con i suoi esperti, sul resto occorre aprire un confronto che vada oltre il livello di rappresentatività delle parti sociali. Come è ampiamente dimostrato, in queste settimane, Confindustria non è in grado di garantire per la maggioranza delle aziende il rispetto delle regole di sicurezza e le tutele per i lavoratori. Il sindacato non è in grado di coprire con la sua presenza la maggioranza delle aziende. È per questo che il tavolo prefettizio è fondamentale a garanzia della totalità di aziende e maestranze.

Intanto, mi “tocca” apprezzare il Presidente di Confindustria Brescia, il terzo incomodo, perdente, dei tre candidati alla presidenza di Confindustria nazionale, sembrando persino il più equilibrato, che sostiene una partenza graduale, per settori. E giustamente la siderurgia, che non è solo l’Ilva di Taranto, deve ripartire per prima. Senza la materia prima che avvia tutti i processi produttivi non si va da nessuna parte. Da metalmezzadro (così definivamo negli ’70-’80 tutti coloro che lavorando in fabbrica coltivavano anche la terra o si era contadini diventati operai) penso che occorra anche ripristinare subito la filiera della costruzione delle macchine agricole. Una filiera che non ha mai conosciuto crisi. Poi con l’ingente liquidità prevista dal Decreto in arrivo e per la ripresa graduale servono, anche, i consulenti del lavoro per gestire l’amministrazione. Anche se leggendo il loro documento del 1° aprile (mai data fu più sbagliata) colgo tutta la loro voglia di “non avere il sindacato tra i piedi”. Mentre esprimono questo “livore antisindacale” suggerirei loro e lo dico con l’esperienza di qualche decennio da sindacalista, di alzare il livello di competenza complessivo. Quante volte abbiamo dovuto spiegare come funzionano gli ammortizzatori, fornire tabelle contrattuali, scrivergli gli accordi. Serve molta professionalità per far funzionare le relazioni sindacali e gestire ben un’azienda. Comunque nelle Pmi e artigiani ai consulenti del lavoro possono sostituirsi le grandi aziende valorizzando la filiera di prodotto assumendosi il compito di supportare la loro filiera, fatta di Pmi, nella gestione burocratica-amministrrativa che significherebbe un abbattimento dei costi notevole.

I tavoli prefettizi (essendo l’imbuto e concentramento delle richieste di deroghe e aperture/chiusure delle aziende) potrebbero diventare, forse lo sono già, un luogo in cui (come quando nacque la 223 del 1991,“scevro da afflati ideologi”), si ripensino gli ammortizzatori sociali migliorandone uso e qualità. Ad esempio, allungando, di nuovo, oltre i 24 mesi la cassa integrazione per crisi in modo continuativo e senza interruzioni dopo i dodici mesi; più risorse sulla formazione e digitalizzione a partire dalle Pmi e piccola impresa/artigiano (e qui vale di nuovo il ragionamento della filiera di prodotto: la grande impresa con ruolo di trainer e partner). Dalla crisi si esce più forti o non si esce.

Perderemo dei pezzi? Purtroppo sì, nonostante il Governo stia varando un Decreto molto corposo e consistente, abbinato a vincoli di mantenimento dell’occupazione in Italia. Anzi sarebbe l’occasione propizia per realizzare anche del reshoring. Allora serve rivedere la durata della Naspi e introdurre, almeno per il 2020, la possibilità di andare in pensione a 41 anni di contributi, indipendentemente dall’età, con il parametro Covid19, equiparati alla pensione di anzianità.

Alle aziende e al Governo bisogna chiedere sopratutto una revisione profonda dei lavori atipici. Questa crisi cambierà molto nella nostra vita, è il momento di ridare una speranza e fiducia ai giovani inserendoli con percorsi più certi nel mondo del lavoro (quota 100 è servita a fare uscire molti lavoratori ma quel rapporto di “uno esce e uno entra”, di salviniana memoria, vale come l’opinione di Fantozzi sul film la “corazzata Potemkin”).

Se gli imprenditori non capiranno che oggi è il momento di uscire dal precariato infinito (fatti salvi i lavori stagionali, nei settori stagionali) e ripensare percorsi più brevi, magari allentando la stretta da parte sindacale sulla formazione (lì si che ci comportiamo da burocrati. La Formazione va “on the job”) e sviluppando l’apprendistato quale forma principale di ingresso nel mondo del lavoro. Lo scambio tra parti sociali diventa: meno salario per un dato periodo (e tre anni sono lunghi, più sgravi fiscali per l’impresa) a fronte della certezza di un lavoro sicuro.

Su questa scelta coraggiosa si potrebbero aggiungere le clausole del “Contratto Socrate” (da non confondere con Socrates) inserito nel contratto Confimi ma mai utilizzato e che invece rappresenterebbe un cambiamento epocale nei percorsi di inserimento lavorativo.

Nel luglio 1991 a fronte di un decennio, gli anni ’80, di decentramento produttivo all’estero, di fabbriche chiuse; le parti sociali seppero costruire, con il Governo, una Legge che ancora oggi è attuale, solo un po’ stravolta successivamente. Già, ma allora presidente di Confindustria era una certo Sergio Pininfarina e ministro del Lavoro (se ne succedettero tre nel 1991 in due Governi sempre presieduti da Andreotti) prima Donat-Cattin (per un mese la Iervolino) e poi Marini. Insomma la Cisl, non so se mi spiego, neh!

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