Regionali, il confronto è sui programmi

Finalmente la campagna elettorale per il rinnovo dei vertici della Regione Piemonte esce dalla sola propaganda nazionale. Perché sino ad oggi, per fare un solo esempio, il presidente Cirio continuava a venire descritto dalla sinistra e dai populisti dei 5 stelle come l’interprete della “peggior destra” che non si è mai vista nel nostro paese. Uno slogan non solo volgare ma plasticamente slegato dalla realtà piemontese, del tutto esterno ed avulso rispetto a ciò che sino ad oggi è stato il presidente Cirio nel governo concreto della Regione Piemonte. Come, del resto, il tentativo di individuare nelle politiche regionali lo strumento per demolire definitivamente ed irreversibilmente la sanità pubblica, l’azzeramento di ogni ipotesi di sviluppo e di crescita del nostro tessuto produttivo e, infine, l’imposizione di una “ideologia” che prescinde dai diritti e dalla difesa e dal rispetto di tutte le persone.

Insomma, e per non farla lunga, la singolare demonizzazione ideologica lascia spazio al confronto politico sui programmi e sulle cose da fare per continuare a fare di questa Regione un territorio di sviluppo e di crescita senza dimenticare la salvaguardia e la difesa dei ceti più deboli e indifesi attraverso una politica di sostegno e di aiuto concreto a tutti coloro che per svariate motivazioni non riescono a farcela da soli. Perché ogni progetto che sia in grado di rilanciare un territorio attraverso la valorizzazione delle sue eccellenze e le politiche attive che creano sviluppo ed occupazione non possono mai prescindere dalle politiche sociali. E, per dirla con il padre dello “Statuto dei lavoratori”, Carlo Donat-Cattin, un paese è credibile ed equo solo quando “l’istanza sociale riesce a farsi Stato”. Così è per lo Stato e così è, di conseguenza, anche per una regione come il Piemonte.

Coniugare le politiche di sviluppo con le politiche sociali era, e resta, il segreto di una strategia sinceramente democratica e autenticamente riformista. Perché è perfettamente inutile continuare ad invocare una nuova politica, evocare un cambiamento dei partiti e auspicare un rafforzamento della partecipazione se poi il tutto si ferma alle invettive demagogiche e alle pregiudiziali ideologiche. Oltretutto, continuando a delegittimare moralmente gli avversari/nemici e criminalizzarli sotto il profilo politico, si contribuisce in modo plastico ad impoverire la politica e a ridurla ad un fatto puramente muscolare e fatta di sole accuse ed invettive. Un metodo, questo, che non fa altro che perpetuare la deriva e la sub cultura demagogica e populista che sono state all’origine della crisi profonda della politica e della stessa caduta verticale di credibilità delle istituzioni democratiche.

Ma la rotta si può invertire, a partire dalle ormai prossime elezioni. Europee e regionali. E, per fermarsi al Piemonte, ripartire dai contenuti e dai programmi dei candidati alla Presidenza. Tutto il resto va semplicemente spazzato via perché appartiene alla mala politica, al malcostume dei rapporti politici e, soprattutto, alla crisi irreversibile dei contenuti della politica stessa. A volte, il tutto è molto più semplice di quel che appare.

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