La politica del nulla

Nel nostro Paese ci sono stati gli anni della contestazione (il ’68), quelli della ribellione e della musica rock. In seguito è arrivata l’epoca dei “Paninari” e del disimpegno politico. Sarà divertente scoprire come in futuro verranno etichettati gli ultimi decenni: anni privi di “eroi” e di coraggio politico; anni che non verranno sicuramente ricordati per le qualità degli statisti, ma per la quasi totale assenza di passione e di empatia in molti di coloro che ricoprono cariche pubbliche. 

Inconsistenza, sciatteria, pochezza, vanità, arrivismo e cinismo sono alcune delle definizioni con cui si potrebbe narrare questo nostro tempo. In passato alcune linee di frontiera erano considerate invalicabili, poiché dividevano gli atteggiamenti moralmente leciti da quelli che invece rientravano nella categoria opposta: quella del proibito. I media conoscevano bene i limiti da non oltrepassare mai, e non davano spazio agli aspetti più squallidi della vita politica solo per alzare l’indice di gradimento da parte del pubblico (lo share).

La frattura che divide ciò che le consuetudini giuridiche ed etiche consentono da quanto invece non è permesso fare, si è oramai saldata quasi del tutto. Atti riprovevoli e azioni legittime si mescolano tra loro di continuo, alimentando un sentimento collettivo di indignazione che si è consumato nella società lasciando spazio all’indifferenza, nonché a considerazioni del genere “I politici sono tutti uguali”.

I meccanismi di autoassoluzione morale attivati da una parte della classe politica sono pericolosissimi, poiché comportano l’abbandono di ogni remora da parte di chi detiene il potere e, al contempo, accompagnano l’inserimento del “Male” nella quotidianità collettiva, trasformandolo in qualcosa di ordinario la cui presenza è scontata, quanto inevitabile. 

Le prossime elezioni saranno probabilmente ricordate sia per il disinteresse degli aventi diritto al voto, che per l’importante stravolgimento degli scopi su cui si fonda l’Istituzione europea. Un allontanamento dei cittadini dalle istituzioni dovuto, in gran parte, a quel superamento dei valori etici che si manifesta anche quando si candida, al Parlamento europeo, un sottosegretario di Stato dimissionato per essere stato raggiunto da gravi accuse giudiziarie. Le liste dei partiti in corsa verso Strasburgo includono, tra gli altri, un produttore di munizioni, proprietario di fabbriche nel Nord-Est, e un alto ufficiale che ha raccontato in un libro autoprodotto gli effetti della sua forte sociopatia. 

In questa campagna elettorale vengono inoltre stravolti i valori su cui è stata fondata l’Unione Europea, tra cui la creazione di saldi presupposti per una Pace duratura tra i popoli del Vecchio Continente. Gli scopi pacifisti sono stati soppiantati dall’esigenza di creare una difesa comune, così da soddisfare ancora una volta gli interessi delle lobby dei produttori di armi. Un ex premier, come tutti i Presidenti del Consiglio dei Ministri che arrivano dal mondo finanziario, non si fa scrupolo a parlare di guerra quando, con estremo candore, dichiara che l’Italia è stata fatta versando sangue, e quindi anche l’Europa chiederà il suo contributo di morti. Il mantra per cui occorre “una comune difesa europea” è recitato senza sosta dalla maggioranza dei candidati, come eseguissero un ordine impartito dall’alto.

Di fronte a un tale declino della politica sarebbe indispensabile analizzare a fondo il sistema elettorale degli “Stati democratici occidentali”. Candidarsi, infatti, è un vero lusso, poiché non tutti possono permetterselo: chi incamera redditi bassi non potrà avere le stesse possibilità di coloro che investono centinaia di migliaia di euro in efficaci campagne acchiappa voti (è un fenomeno che tocco con mano essendo candidato alle prossime regionali).

Sarebbe rivoluzionario imporre equilibrio e pari opportunità a tutti i candidati. Nelle vere democrazie il reddito di chi entra in politica non fa la differenza: ogni cittadino deve essere messo in grado di competere con Draghi, grazie alla possibilità di avere le medesime sue chance. Il modello attuale è decisamente una distorsione del concetto democratico, perché invita il politico a cercare il sostegno finanziario dai professionisti delle lobby. 

I grandi imprenditori, gli speculatori, finanziano con generosità le campagne elettorali, ed ecco che per incanto piomba sulla testa dei cittadini la privatizzazione dei servizi essenziali: vecchio desiderio della Confindustria che diventa magicamente la priorità assoluta del governo. È oramai possibile decidere di portare anche il Paese in guerra, pur di non deludere i produttori di proiettili e carri armati: del resto chi paga lo fa per ottenere qualcosa in cambio, raramente per ideale. 

Nel giorno dell’arresto per corruzione del Presiedente della Regione Liguria non si può che prendere ancora una volta atto del binario morto su cui sta correndo la Politica stessa. Solo una presa di coscienza collettiva potrebbe ancora salvare il nostro Paese dal tradimento in atto contro la Carta Costituzionale: la Legge fondamentale nata dalla sconfitta del Fascismo per opera dei partigiani.  

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