Jobs Act e l'inutile referendum di Landini

Siamo il Paese dei dibattiti sulle questioni ininfluenti. Un caso tipico è il referendum promosso dalla Cgil sulla presunta abolizione del Jobs act.

C’è un grande equivoco (voluto?) perché, qualora il primo quesito referendario che mira ad abrogare il contratto a tutele crescenti fosse approvato, nella sostanza non cambierebbe quasi nulla sulla disciplina dei licenziamenti e  si tornerebbe a ciò che prevedeva la riforma Fornero del 2012.  Il Governo Monti, con Fornero ministra del Lavoro, furono i veri artefici delle profonde modifiche dell’articolo 18 e non solo.  I sindacati opposero e timidamente solo quattro ore di sciopero a quella riforma, soprattutto riguardante le pensioni. Ma a quanto pare c’è bisogno di cancellare dalla storia della sinistra il “periodo Renzi” e salvare la Fornero.

Aggiungo che già prima del 2012 e poi del 2015 i casi di reintegro nel posto di lavoro, con l’applicazione dell’articolo 18 del 1970, erano pochissimi e i casi sono rimasti pochi anche dopo. Per un semplice motivo per cui anche di fronte alla possibilità del reintegro, il lavoratore nella stragrande maggioranza dei casi preferisce l’indennizzo ma non tornare sul luogo di lavoro in cui comunque il “clima” non sarebbe più lo stesso. Può apparire politicamente e ideologicamente sbagliato ma è la realtà dei fatti.Inoltre è bene ricordare che nel Jobs Act, sul nuovo Contratto a Tempo Indeterminato con tutele crescenti, per le nuove assunzioni, dal 1° marzo 2015,  la possibilità del reintegro è esclusa solo per i licenziamenti economici prevedendo un indennizzo economico crescente in base all’anzianità. Il diritto al reintegro rimane per i licenziamenti nulli e discriminatori e a specifiche fattispecie di licenziamento disciplinareingiustificato.

Inoltre il governo Conte I e la Corte Costituzionale sono intervenuti aumentando significativamente le tutele dei dipendenti assunti con il cosiddetto “contratto a tutele crescenti”. Adesso un dipendente assunto e licenziato ingiustamente può ricevere fino a 36 mensilità di indennizzo. Vorrei anche ricordare che mediamente le aziende nei casi di indennizzo, prima del jobs act, erano inferiori anche alle 24 mensilità. Evocare il jobs act come la fonte di tutti i mali è un po’ come citare l’abrogazione della scala mobile. Purtroppo significa sempre ragionare con la testa voltata indietro e mai a guardare il futuro.

Anche gli altri due quesiti evocano il jobs act ma rammento che sull’estensione dell’art.18 alle aziende sotto i quindici dipendenti la Legge del 2015 ne prevede l’estensione nel caso l’azienda superi i quindici dipendenti e poi torni sotto a tale soglia. Quindi non si spiega il voler l’abolizione del jobs act essendo migliorativo ma conferma anche che chiedere l’estensione dell’articolo 18 (quale, quello di Renzi o della Fornero, se si vuole abolirlo con il primo quesito?) alle imprese sotto i quindici dipendenti non ha nulla a che vedere  con il jobs act.

Anche il terzo quesito, quello sulla reintroduzione dell’obbligo della causale nei contratti di  lavoro a termine, non ha nessun riferimento al jobs act. L’obbligo era stato abrogato nella riforma Fornero nel 2012. Successivamente il Governo Conte con il Decreto Dignità  aveva modificato la legge in modo stringente e il Governo Meloni ha allentato le misure demandando anche alla contrattazione collettiva.

Quindi si evoca il jobs act per connaturare i referendum, individuare un avversario per il popolo della sinistra ma il jobs act non verrebbe quasi modificato e si ignora che i “danni” sono imputabili al Governo Monti e Fornero.

Oltretutto non si affrontano i nodi veri che dovrebbero riguardare la politica e cioè la riforma del mercato del lavoro. A tal proposito Renzi eliminò i co.co.pro. Combattere le varie forme di lavoro atipico che lo trasformano in precariato, questo sarebbe un obiettivo vero, senza demonizzare il lavoro a termine ma considerandolo un’opportunità e non un problema per i giovani. Obiettivo troppo difficile, più facile la demagogia.

Lo stesso si può dire della battaglia ideologica sull’articolo 18 di cui si è discusso per anni e che oggi ritorna inutilmente di attualità. Quell’articolo non era un blocco alle assunzioni e allo sviluppo delle imprese, in particolare quelle sotto i quindici dipendenti perché dopo la riforma Fornero, principalmente e poi dopo il jobs act, non ci fu nessuna “ondata” di assunzioni né sopra, né sotto i quindici dipendenti. Non c’è stata nemmeno nessuna “ondata” di licenziamenti individuali. Insomma non è cambiato nulla, le assunzioni sono avvenute grazie agli incentivi economici alle imprese del governo Renzi che accompagnavano il jobs act e sono poi avvenute, anche recentemente, grazie all’andamento del mercato, confermando che l’andamento economico e produttivo di un Paese è spesso una variabile indipendente dal governo dai suoi interventi.

Continuare una narrazione della politica individuando totem da abbattere che non hanno incidenza reale nella vita quotidiana delle persone ma hanno solo un inutile e ininfluente afflato ideologico su cui, però, si lanciano i big politici dividendosi anche nel Pd sul nulla, fanno molto danno al popolo del centro sinistra e poco, sicuramente, alla destra.

Popolo del centro sinistra che rischia di trovarsi nella situazione del grande portiere del Milan, del Cagliari e della Nazionale, Ricky Albertosi, che alla domanda del giornalista: “qual è il giocatore che temeva di più in area?”,  lui rispose dopo un attimo di silenzio: “Comunardo Niccolai”.

 

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