POLITICA & GIUSTIZIA

Rimborsi legittimi per fini “politici”

Nelle motivazioni che hanno portato all'assoluzione di 9 consiglieri regionali, in gran parte di centrosinistra, si evidenzia come è la "finalizzazione della spesa" ad essere stata valutata nell'escludere peculato o appropriazione - LEGGI L'ATTO

Assolti perché il fatto non costituisce reato: “hanno dato conto delle spese effettuate, riuscendo in larga misura a documentarle, comunque ad inquadrarle nell’ambito di attività coerenti con l’attività di consigliere regionale appartenente a un gruppo”. Con questa formula il giudice per le indagini preliminari Daniela Rispoli ha chiuso il procedimento con rito abbreviato nei confronti dei nove consiglieri regionali coinvolti nel Processo Rimborsopoli, relativo alle spese dei gruppi nella passata legislatura (Fabrizio CombaGiampiero Leo e Gian Luca Vignale, eletti nel 2010 nel Pdl, Eleonora Artesio della Federazione della Sinistra, e poi i democratici Davide GariglioStefano LepriAngela MottaAldo Reschigna e Monica Cerutti). Esponenti per i quali, in una prima fase del processo, il giudice Roberto Ruscello aveva chiesto l'imputazione coatta, sovvertendo le richieste di archiviazione formulate, invece, dai pubblici ministeri. Motivazioni molto attese dai legali dei 25 consiglieri ancora alla sbarra, tra cui l’ex governatore Roberto Cota, per i quali iniziano stamattina e si protrarranno fino al 25 giugno, gli interrogatori. 

 

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Nelle motivazioni si ammette il carattere “evolutivo” dell’inchiesta che “ha dato espressione piena come raramente accade nei fatti della funzione propria del processo penale, costringendo tutti i protagonisti di esso, dagli imputati alle difese al Pubblico Ministero, allo stesso GIP che ha respinto la richiesta di archiviazione a rivisitare le proprie posizioni”. Nella fattispecie dei nove consiglieri imputati “sono contestate condotte di appropriazione dei fondi nella loro disponibilità” quali appartenenti ai gruppi consigliari “ed a questi erogati dalla Regione Piemonte per il loro funzionamento”. Secondo il Gip, “l’appropriazione è individuata nello specifico nell’utilizzazione delle somme per il soddisfacimento di esigenze personali o comunque estranee alla disciplina normativa”. Il peculato, invece, è “frutto della configurazione di un concorso tra il singolo consigliere, soggetto extraneus che ha chiesto il rimborso” e il capogruppo, quale pubblico ufficiale. Nelle motivazioni il magistrato analizza i diversi ruoli e si concentra in particolare nella funzione del capogruppo. Inoltre, nell’esaminare l’attività ordinaria del consigliere regionale, si sottolinea come “attività politica nell’accezione più pura del termine”. E proprio in questo ambito si sottolinea l’amplissima discrezionalità del raggio di azione, “tale da farla considerare non solo sorretta da discrezionalità, ma addirittura libertà”.

 

Il terreno diventa assai più accidentato allorquando ci si cimenti in concreto nella valutazione della pertinenza della spesa rispetto alla destinazione, ma dove il terreno oltre che accidentato “diventa del tutto scivoloso” è nell’esame dei vincoli di destinazione dei fondi del gruppo e dei singoli consiglieri: “basti qui rilevare come la questione sia tutt’ora aperta e come non si sia riusciti a superare del tutto la dicotomia tra ente emanazione del Consiglio, da cui discende la sostanziale coincidenza delle attribuzioni dei Gruppi con quelle del Consiglio […] ed ente di tipo associativo e rappresentativo del partito politico di cui porta il nome”. Insomma, spiega la dottoressa Rispoli, vi è una “doppia anima dei gruppi consiliari: da un lato strutture interne all’assemblea, dall’altro lato espressione dei partiti politici presentatisi alle elezioni”. Alla fine a essere stata determinante è la “finalizzazione” della spesa che ha rivestito “un ruolo centrale nella valutazione”

 

Tutti gli imputati, pur in situazioni diverse “hanno dato conto delle spese effettuate, riuscendo in larga misura a documentarle, comunque ad inquadrarle nell’ambito di attività coerenti con l’attività di consigliere regionale appartenente ad un gruppo”. Ed è proprio a causa di un quadro normativo “e in senso lato culturale e comportamentale” a dir poco confuso non è possibile, sempre secondo il magistrato estensore, fornire interpretazioni univoche e rigorose sulle categorie di spesa per la quale è stato chiesto il rimborso.

 

In ultimo manca, nei casi presi in esame, l’aspetto soggettivo dell’appropriazione . E se “è emersa una indubbia commistione tra l’elemento oggettivo e l’elemento soggettivo” è stato proprio quest’ultimo ad assumere una valenza maggiore nella formulazione della dichiarazione di assoluzione. “Il fatto non costituisce reato”, quindi, per questa serie di motivazioni e, non ultimo, per gli errori, giudicati palesi, nell’ambito dei raggruppamenti di spese (“emblematiche le spese per le sigarette, ovvero per la consumazione di un gelato”). 

 

Con l’audizione di un imprenditore, intanto, è ripreso in tribunale a Torino il processo principale per la Rimborsopoli dei consiglieri regionali del Piemonte che annovera 25 imputati. L’uomo è il titolare di un’azienda di grafica e stampa che fatturò dei lavori al gruppo del Pdl: è stato prelevato e accompagnato in aula dalle forze dell’ordine, su disposizione dei giudici, perché aveva detto di non poter intervenire per motivi di salute ma non aveva inviato certificazioni mediche. A seguire l’udienza c’è una scolaresca, una quinta classe dell’istituto Luxemburg. Udienza poi proseguita con l’interrogatorio di una collaboratrice del guruppo dei Pensionati, la sorella dell’allora consigliere Michele Giovine: “I 5 euro dal fruttivendolo? Dovevamo mangiare. I biglietti per la partita della Juve? Erano per un collega che ci teneva tanto. La toga regalata all’avvocato? Ci aveva fatto delle consulenze gratuite”. Un militare della guardia di finanza, oltre a precisare che un altro politico prelevò dal conto corrente del gruppo più denari di quelli previsti dalla richiesta di rimborso, ha illustrato gli esiti dei controlli sui telefonini: molti consiglieri erano altrove (addirittura in un’altra regione) nel momento in cui, come documentano gli scontrini, risultava che avessero speso dei soldi da qualche parte. Al governatore Roberto Cota è capitato 115 volte. Ma il suo legale, Guido Alleva, ha sollevato un problema: “Può darsi che si trattasse di esborsi sostenuti lecitamente dai suoi collaboratori o da altri. Avete controllato anche i loro telefonini?”. “No”, è stata la risposta. Alcune questioni sono ancora aperte. I conti relativi al gruppo dei Pensionati andranno rifatti. E le difese annunciano di voler giocare una carta: non è detto che per ogni scontrino presentato sia stato effettivamente elargito un rimborso.