Fiat scarica Torino e diventa global player. E per noi saranno dolori

I peana a Marchionne celano i reali piani del Lingotto: produzione delle utilitarie in Polonia e Serbia, auto elettrica negli Usa. E sotto la Mole? Vaghe e fumose promesse. Sindacato e politica si diano una mossa, prima che sia troppo tardi

 

il-sorpasso I tg e i grandi giornali si sgolano nel concentrare l’attenzione sul destino triste dello stabilimento di Termini Imerese condannato alla chiusura, emblema della vecchia economia assistita e improduttiva contrapposta ai magnifici destini della Fiat sul mercato mondiale.

Davanti a questa magistrale operazione mediatica solo i più attenti studiosi dell’industria delle quattro ruote hanno cercato di evidenziare i reali pericoli della strategia di Sergio Marchionne. Tutti sanno che il futuro dell’auto si gioca in gran parte nel motore elettrico, soprattutto quando tra non molti anni i propulsori termici avranno raggiunto la completa maturazione con l’Euro 6. E non a caso i francesi impegnati in questi tempi di crisi in un gigantesco piano d’investimenti  hanno destinato un miliardo e mezzo di euro alla creazione di una grande rete di distributori d’elettricità per ricaricare le batterie delle vetture.

Al salone dell’auto di Francoforte del settembre scorso sono stati presentati molti prototipi: la Peugeot aveva la Ion a zero emissioni e la BB1, la Volkswagen ha esibito la E-up!, la Hyundai la Blue-Will, l’Audi ha incassato un notevole successo con l’E-tron, una showcar elettrica da 313 cavalli, capace di arrivare a 200km orari, passando da 0 a 100 in 4,8 secondi e di notevole autonomia, in grado di percorrere con le sue batterie fino a 248 km.

Renault_Zoe_ZE_Concept_francoforte_2009_1_G_header1280x640Ma come riporta Renato Calvanese in un paper consultabile sul sito dell’Istituto Bruno Leoni (www.brunoleoni.it) l’unica vera novità è venuta proprio dalla Francia, dove abita l’unico uomo che veramente crede nell’elettrico e che soprattutto è a capo di una casa automobilistica. Si chiama Carlos Goshn, cinquantacinquenne brasiliano di Porto Velho, amministratore delegato del gruppo Reanault-Nissan che ha annunciato un programma dettagliato di commercializzazione non già di un solo modello ma di un’intera gamma di veicoli elettrici o BEV (Fluence, Twizy, Kangoo, Zoe). Una linea d’auto che, con l’aggiunta di tre Nissan, arriva a sette modelli, tutti pronti in tre anni.

Il “The Advanced Technology Vehicles Mnufacturing Loan Program”, approvato dal Congresso americano nell’autunno, prevede lo stanziamento di 25 miliardi di dollari in forma di prestiti alle industrie che promettono di abbassare i consumi dei loro modelli del 25% rispetto alla media di quelli prodotti nel 2005.

 

In Italia il dibattito sulle nuove tecnologie non ha trovato l’audience che merita, salvo qualche repentina e stucchevole conversione sulla strada di Copenaghen. Sarà un caso? O è la tradizionale incapacità del Belpaese nel cogliere i veri problemi? O forse tutto è stato studiato ad arte? Lasciando da parte sterili rivendicazioni sciovinistiche l’orizzonte è denso di incognite. A partire dalle intenzioni della proprietà del Lingotto. Gli affari di Exor, la cassaforte della Famiglia, stanno andando a gonfie vele, tanto che la finanziaria ha più di un miliardo di liquidità da investire, ma di questa somma nemmeno un euro andrà al settore auto perché è stato scritto nero su bianco «tutte le operazioni cui Fiat sta lavorando non richiederanno fondi almeno per il momento e non aumenteranno il peso del settore auto nel portafoglio Exor». Una decisione che lascia presagire una riduzione della partecipazione degli Agnelli-Elkann nella casa torinese, allorquando si dovesse arrivare ad alleanze con scambi di quote azionarie. John Elkann l’ha detto in tempi non sospetti: «Se dovremo essere più piccoli in un insieme più grande, ci va bene»: espressioni già usate in passato da alcuni membri della famiglia a proposito dei destini degli Agnelli e delle quattro ruote, destini  non necessariamente ed eternamente coincidenti.

 

Di sicuro c’è solo il fatto che Fiat è l’unico grande produttore d’auto europeo che non sperimenta nel suo Paese d’origine il motore elettrico. Gli studi e i progetti hi-tech Marchionne ha deciso di svilupparli Oltreoceano e cioè nei laboratori di Crysler. La Fiat dunque costruirà le utilitarie in Polonia e in Serbia e l’elettrico negli Usa.

E in Italia? C’è la promessa di aumentare la produzione a un milione di vetture pronunciata con l’occhio rivolto agli incentivi.  Possiamo fidarci? Nel 2008 il Lingotto aveva giurato che Termini aveva un radioso futuro produttivo. Quella promessa si è sciolta come neve al sole. Ci stanno rubando l’industria dell’auto, ma nessuno pare preoccuparsi.

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