Crt, affare di famiglia tra ex democristiani
07:53 Lunedì 10 Ottobre 2011Sono iniziate le manovre per il rinnovo dei vertici della Fondazione. Si rafforza l'asse Palenzona-Vietti e per la presidenza spunta il nome della Bima. Partecipazioni colpite dalle minusvalenze
Via XX Settembre è una marca storica del potere democristiano. La Cassa di Risparmio di Torino, nella primigenia versione di istituto bancario, è stata a lungo feudo inalienabile del conte Edoardo Calleri di Sala, appena insidiato per un pugno di anni dal socialista lombardiano Nerio Nesi. Ancor oggi, nella sua trasformazione in fondazione e quantunque la Balena bianca si sia da tempo inabissata, resta saldamente nelle mani degli eredi – peraltro in gran spolvero – dello scudocrociato. E non è davvero un caso se il tramestio che sta attraversando in questi giorni la galassia cattolica stia portando due diccì doc come Fabrizio Palenzona e Michele Vietti a menare le danze in vista dell’imminente rinnovo dei vertici.
Sebbene manchi oltre un anno alla scadenza naturale degli organismi di governo dell’ente – e molto sarà determinato dall’assetto che avrà la consorella di corso Vittorio – tra il vicepresidente di Unicredit e il numero due di Palazzo dei Marescialli si starebbe profilando un accordo per piazzare sulla poltrona oggi occupata da Andrea Comba la notaia Caterina Bima, componente del Consiglio generale della Compagnia di San Paolo e, cosa non marginale, legata sentimentalmente all’esponente Udc. Almeno a dar retta ai rumors che da Roma e Milano rimbalzano sotto la Mole, la trattativa si incrocerebbe con le manovre in corso sul dopo Benessia e avrebbe come obiettivo, tra gli altri, il trasferimento di Giovanni Quaglia, fedelissimo del boss alessandrino, attuale vice a via XX Settembre ma non più rieleggibile, nel board della Compagnia.
Nel frattempo, la difficile situazione finanziaria e borsistica sta complicando non poco il compito dei due custodi del patrimonio della Fondazione. Il presidente Comba e il segretario Angelo Miglietta (foto) devono fare i conti con le minusvalenze delle principali attività che detengono in portafoglio. Ad aumentare le preoccupazioni concorre la composizione del capitale azionario che, a differenza di Corso Vittorio, non prevede quale principale investimento quotato presso Borse regolamentate solo la partecipazione nella banca (da cui si staccò ai tempi della riforma Amato) confluita in Unicredit, ma si compone di altre importanti quote societarie che non sono riuscite a sfuggire ai recenti rovesci borsistici.
Il bilancio 2010, l’ultimo disponibile, informa che il patrimonio societario a fine anno risultava pari a poco più di quattro miliardi di euro; sempre alla stessa data la partecipazione in Unicredit ammontava a 1,1 miliardi. Il conto è semplice: il ventisette per cento delle risorse finanziarie dalle quali la Fondazione trae i rendimenti che saranno in seguito usati per lo sviluppo del territorio piemontese, dipende dall’andamento patrimoniale e reddituale della banca di Piazza Cordusio a Milano. A fine 2008, Comba e Miglietta potevano contare su una plusvalenza, implicita perché liquidabile in moneta sonante solo vendendo la partecipazione, pari a 1,5 miliardi di euro. Ad oggi, la caduta verticale delle quotazioni di Unicredit ha determinato non solo l’azzeramento del miliardo e mezzo ma anche il passaggio in territorio negativo a causa di una minusvalenza, sempre implicita, pari a oltre 400 milioni di euro. Ma gli impegni finanziari imputabili alla partecipazione in Unicredit non si esauriscono nella contabilizzazione di eventuali perdite di valore: nel mese di gennaio 2010 la Fondazione torinese ha provveduto a soccorrere la banca sottoscrivendo la sua quota, 133 milioni di euro, dell’aumento di capitale di quattro miliardi: soldi veri in questo caso, destinato a rafforzare la pessima situazione in cui si trovava la banca allora guidata dal neo-politico Alessandro Profumo. Per far fronte all’ingente impegno Comba e Miglietta non hanno esitato a cedere quote azionarie considerate non strategiche.
Un ulteriore 19 per cento del portafoglio della Fondazione è rappresentato dalla partecipazione in Atlantia, ex Autostrade per l’Italia, gruppo gestito dal socio forte Benetton. Dalla lettura del bilancio si scopre che l’investimento fu effettuato nel 2000 al fine di assicurare una fonte di reddito aggiuntiva e per bilanciare i rischi di eccessiva concentrazione su Unicredit del monte investimenti di Via XX Settembre. Il compito non è stato assolto nel corso dell’ultimo esercizio: la quotazione cui è iscritta la partecipazione Atlantia nel bilancio 2010, 15,27 euro, è purtroppo solo lontana parente dei valori del 2011 che sono scesi anche ben al di sotto dei dieci euro.
Anche il destino della quotazione azionaria, in Societè Générale, una delle più importanti banche europee quotata alla Borsa di Parigi e aumentata dalla Fondazione Crt nel 2010 dal 2% al 7,46%, è stato molto simile. La perdita di valore è stata forte, anzi poche settimane or sono i mercati sono stati letteralmente terremotati dalla notizia del vicino default della banca francese, poi smentito, ma che sembra in ogni caso destinata ad essere ricapitalizzata a spese del contribuente francese.
Non sfugge alla contrazione dei prezzi neanche la quota detenuta nelle Assicurazioni Generali, in parte gestita in via diretta, in parte attraverso la poco nota società finanziaria Effeti Spa, mentre destano minori preoccupazioni i valori delle partecipazioni in Mediobanca, Iren e Banco Sabadell, banca catalana quotata alla Borsa di Madrid.
E’ di qualche giorno or sono l’annuncio dell’aiuto che la Fondazione si impegnerà a fornire al Comune di Torino per far fronte ai noti problemi di bilancio: è difficile immaginare come potranno essere mantenute le promesse se i valori di mercato dei “gioielli” che si trovano nel portafoglio di Via XX settembre non torneranno sui livelli ante crisi. I dubbi sono anche alimentati dalla recente apertura della Fondazione alla possibilità di svalutare le partecipazioni azionarie e di dare così corpo alla contrazione del patrimonio in cassaforte, fino ad oggi virtuale, nonché dalla strategia finanziaria seguito nel recente passato. Al fine di aiutare Unicredit nelle tempestose acque della crisi dei mercati finanziari, Comba e Miglietta non hanno esitato a vendere le partecipazioni meno importanti e, di fronte all’ eventualità di ulteriori operazioni di rafforzamento patrimoniale di Piazza Cordusio, via XX Settembre deliberò la possibilità di cessione delle azioni di Autostrada Torino Milano, Iride, Mediobanca e della banca francese Societè Générale, grande sacrificio perché sembra stare molto a cuore al management torinese. Pur se la decisione è recentemente rientrata, non grazie alla ripresa dei mercati borsistici, mai avvenuta, ma per timore di privarsi di importanti leve di gestione del potere politico e finanziario, tra le righe la Fondazione afferma di essere pronta a privarsi di pezzi molto pregiati pur di sostenere Unicredit, il gruppo Benetton e di aumentare il suo peso nella partita Generali. Come può essere certo Piero Fassino che Comba e Miglietta non lo sacrificheranno sull’altare delle convenienze politico-finanziarie?