RETROSCENA

I fassiniani restano senza corrente

Crescono tra i sodali del Lungo gli attestati di stima verso Gentiloni, dopo l'uscita pubblica di Lo Russo. Operazione ostile a Renzi? Gli ultimi fuochi di una componente che non esiste più ma cerca di sopravvivere

Un’ombra lunga si staglia sulle polemiche che hanno caratterizzato la vigilia dell’arrivo di Matteo Renzi a Torino. Lunga e asciutta. Il nome di Paolo Gentiloni anziché quello del segretario nel simbolo del Partito democratico è una suggestione rimbalzata in queste ore dagli ambienti confindustriali alle prime pagine dei giornali, ma l’unico che ha avuto l’ardire di uscire allo scoperto è stato il capogruppo dem a Torino Stefano Lo Russo, già assessore di Piero Fassino nella giunta di centrosinistra, tra i pochi under sessanta che possono vantare un rapporto schietto con l’ultimo segretario della Quercia. Solo 48 ore  prima l’happening del Lingotto, con un migliaio di amministratori del Pd provenienti da tutta Italia, è arrivato il colpo basso che nessun big o quantomeno aspirante parlamentare oggi si potrebbe permettere, se non sottovoce, a mezza bocca, in qualche riunione ristretta. Come quella convocata ieri mattina nella sede dell’associazione IdeaTo da quella vecchia volpe socialista di Salvatore Gallo, che ha radunato i reduci di quel che fu l’esercito del compagno Piero.

Tra qualche seggiola vuota e tanti musi lunghi è emerso, per chi non l’avesse ancora capito, che Fassino non è più in grado di tutelare nessuno, ammesso e non concesso che la cosa ancora gli interessi. La partita se la gioca lui in prima persona e la corrente può rimanere staccata. Ognun per sé e Dio per tutti, i miracoli sono finiti e i tanti miracolati di quella stagione dovranno mettersi l’anima in pace. Assenti, seppur invitati, proprio i due ex assessori Lo Russo e Claudio Lubatti, tra i primi a prendere le distanze dai vecchi pretoriani fassiniani, all’indomani della disfatta del 2016, pur mantenendo un rapporto col vecchio leader e non solo per la possibilità di frquentarlo nell'aula del Comune di Torino. Che l’ex sindaco fosse stato informato dell’intemerata via social del suo delfino? C’è chi lo ritiene probabile, chi arriva a pensare che possa essere stato proprio lui a ispirarla. Congetture, certo. Di sicuro c’è che non sono arrivate reprimende. Oggi pomeriggio un altro fassiniano come l’ex parlamentare di Nichelino Salvatore Buglio torna sul tema, sposando nei fatti la tesi di Lo Russo. Un caso?

Un po’ di disorientamento in questi casi è scontato, soprattutto per chi ha avuto almeno per dieci anni un’unica stella polare. Fedeli funzionari di partito come Gioacchino Cuntrò che ancora “s’atteggia a capo di una componente che non esiste più” o il vecchio Giancarlo Quagliotti che prova a rabberciare un abito ormai consunto. Il generale combatte una battaglia in solitaria e i suoi colonnelli guidano un esercito che non c’è. Chi aveva la forza di proseguire da solo è andato in cerca di altre alleanze come il presidente di Palazzo Lascaris Mauro Laus che prima ha piazzato Mimmo Carretta a capo della Federazione di Torino e ora punta a uno scranno parlamentare. Il vicepresidente della Regione Aldo Reschigna ormai è più chiampariniano di Segio Chiamparino e spera nella sua investitura per correre da governatore alle prossime regionali. L’unica deputata uscente d’area è Paola Bragantini, la quale sa che se dovesse tornare a Montecitorio sarà grazie a Ettore Rosato e non certo per gli uffici di Fassino; persino il rapporto con la consigliera regionale Nadia Conticelli non sarebbe più così stretto, al punto che anche lei avrebbe una inconfessata ambizione parlamentare.

Una federazione di correnti tutte più o meno autonome, gravitanti attorno a quel centro di potere permanente che fu Fassino sindaco, presidente dell’Anci e addirittura presidente della Repubblica in pectore. Con la vittoria di Chiara Appendino a Torino, però, tutto è mutato. A partire dalla prospettiva del vecchio leader, fiaccato dalla sconfitta e dalle inchieste prima ancora che dall’età. Vuole tornare a Roma e per farlo non ha più bisogno dei vecchi sodali sotto la Mole. Con questa legge elettorale non gli servono i voti, non ha bisogno di portarsi dietro nella Capitale questo o quello e pare quanto mai effimero pensare, come fa qualcuno, che una sua candidatura a Torino, piuttosto che altrove, possa cambiare qualcosa. A questo giro di valzer Fassino balla da solo.

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