VERSO IL 2019

Chiamparino spariglia (a destra e manca)

La rinuncia a correre per un secondo mandato fa saltare i piani di tutte le coalizioni. Il governatore cala la carta del rinnovamento e auspica "nuove" alleanze (magari con i Cinquestelle). Centrodestra gioca di rimessa. Ecco cosa si muove

E alla fine il mazziere sparigliò. Sergio Chiamparino lo ha fatto contravvenendo a una delle regole auree dello scopone in cui è maestro, ma applicandone una delle mille della politica che conosce altrettanto bene. Annunciando la sua, di fatto irrevocabile e definitiva, indisponibilità a ricandidarsi alla presidenza della Regione ha fatto la mossa che molti, in verità, avevano messo in conto senza però crederci più di tanto. Al punto che qualcuno si ostina a scorgere nelle parole pronunciate ieri a Baveno uno spiraglio per un (improbabile) ripensamento: in fondo, argomenta un dirigente tentando l’esegesi del chiampapensiero, ha detto che una sua riproposizione sarebbe “l’ultima spiaggia” per un centrosinistra con l’acqua alla gola.

Lo spariglio non risparmia  nessuno al tavolo. Investe soprattutto il Pd, costretto a cercare un candidato senza quell’ancora di salvezza a cui aggrapparsi nel mare procelloso, ma scombicchera altrettanto progetti e schemi in un centrodestra che già si stava preparando alla più classica delle battaglie: quella contro chi non vuole lasciare una poltrona da cui ha governato, ovviamente a detta loro, male. Poi ci sono, all’interno dei due fronti e di altri che potrebbero nascere, ulteriori variabili e altrettante incognite: le alleanze possibili nel centrosinistra (magari “spacchettando” i Cinquestelle, vero tarlo del governatore) e l’impossibilità di calibrare con nettezza la sfida da parte del centrodestra, che dovrà aspettare per scoprire chi sarà l’avversario.

Chiamparino ha indicato il congresso regionale del Pd con le sue primarie come passaggio utile per far emergere il candidato, segnando quella discontinuità da lui avvertita come indispensabile ma altrettanto consapevole di non poterla incarnare. Non lo ha fatto fino ad ora e difficilmente lo farà in futuro, eppure in assenza di delfini qualora dovesse esprimere una sua indicazione per un ricambio (almeno) generazionale e tutto interno al Pd molto probabilmente Chiamparino opterebbe per Daniele Valle. Lo conosce bene sotto il profilo politico e ha avuto modo di farlo anche sotto quello personale, essendo stato il giovane consigliere regionale compagno di cordata delle arrampicate dell’alpino Sergio. E, si badi, per lui non è roba da liquidare con una battuta. Lassù ci i misura, ci si conosce, ci si affida l’un altro. Affidare l’eredità a qualcuno? No: “Non sono i padri che scelgono gli eredi, ma i figli che scelgono i loro padri” ha ripetuto più volte Chiamparino con un messaggio criptico per chi non sa o vuole comprendere che anche un salto generazionale, una svolta deve sì portare elementi fortemente nuovi e caratterizzanti, ma non per questo prevede una sorta di abiura di ciò che ha fatto chi è venuto prima. Non nova sed nove, dicevano i latini. Per questo, nel caso del consigliere che ambisce a fare il presidente, adesso per Valle è arrivato il momento di meritare il padre.

Ma il suo, sul quale non pochi muovono dubbi e riserve, è solo uno dei tanti nomi. Da ieri è tutta un’altra storia e molti altri sono i papabili. Chi può dire che da un sicuro (almeno finché dura la legislatura) scranno parlamentare non possa guardare a quella che nel percorso politico sarebbe stata un logico approdo, l’ex segretario e già capogruppo Davide Gariglio, o l’ex presidente del Consiglio regionale, oggi senatore eletto con i voti dell’uninominale, Mauro Laus? E Andrea Giorgis che per Chiamparino sarà anche “trop prufesur”, ma è pur sempre il politico cui il governatore ha riservato stima e forse qualche progetto, compresa la sua successione. Non è più in Parlamento perché ha rifiutato ogni blindatura mettendosi in gioco e giocando fino alla fine come sempre Stefano Esposito. Visibilità nazionale per nulla intaccata dal non essere più senatore, linguaggio senza fronzoli e diretto approccio ai problemi (compresi, anzi in primis, quelli del partito con rara dote di un’autocritica senza sconti), Esposito potrebbe essere un nome forte e sovvertendo la vulgata di essere divisivo (solo perché dice quel che pensa senza peli sulla lingua) potrebbe addirittura unificare le varie anime dem, contando su quella notorietà che l’essere nei circoli come nelle tv nazionali possiede.

Qualcuno storse in naso e sospirò con sufficienza quando lui disse che i Moderati non dovevano essere trattati con quella sufficienza spesso imperante tra i dem. Adesso saranno sospiri di ansia: Giacomo Portas ieri sera era furente. Spiegava che lui ha sempre detto di essere pronto anche a perdere con Chiamparino, come del resto aveva fatto ai tempi di Mercedes Bresso. Ma Sergio doveva essere lui il candidato. Adesso che farà il leader dei Moderati? Starà fuori dall’alleanza prossima ventura guardando altrove, oppure qualcuno potrebbe pensare anche a lui come ulteriore spariglio per non perdere un alleato prezioso, erodere voti fluidi al centro nell’eventualità che il fronte opposto sia troppo sbilanciato a destra?

Certo si guarderà anche a sinistra, rammentando che nei mesi scorsi proprio Chiamparino indicò nel luminare dei trapianti Mauro Salizzoni una risorsa di cui tenere conto. La candidatura del chirurgo con la foto di Che Guevara sulla scrivania piacerebbe assai a LeU, altro alleato con cui fare i conti e che ha chiesto decisa discontinuità su alcuni temi, primo tra tutti proprio la sanità. Con Salizzoni si ritroverebbero con le armi parecchio spuntate gli avversari che pure in materia non è che possano vantare un passato eccellente.

L’assenza dalla competizione regionale di Chiamparino (diverso il discorso per le Europee, come si vedrà) potrebbe ragionevolmente produrre nuovi schemi in cui candidature classiche, ovvero squisitamente politiche, come quelle dell’europarlamentare Alberto Cirio (proiettato per un secondo giro alle europee) della deputata Claudia Porchietto e dell’outsider coordinatore regionale in pectore Paolo Zangrillo, potrebbero risultare meno forti e strategiche rispetto ad altre pescate dal mondo dell’impresa e delle professioni. Insomma di quella società civile dove avevano fatto scouting anche Chiamparino e il Pd finendo forse per pescare nello stesso laghetto verso cui sta tendendo la canna il centrodestra e Forza Italia in particolare.

L’idea di proporre ai piemontesi la vicepresidente di Confindustria Licia Mattioli aveva in sé, per una parte del Pd, il limite di apparire troppo di establishment come in realtà è. Un handicap che diventerebbe valore aggiunto agli occhi dell’elettore di Forza Italia e di centrodestra in ottica di coalizione. Si vedrà. Come sarà interessante vedere se i rumors che riferiscono di contatti piuttosto intensi con uomini vicini a Luigi Di Maio e forse con lo stesso vicepremier da parte del presidente di Coldiretti Roberto Moncalvo troveranno conferma, magari complice la consonanza di vedute su questioni su cui Di Maio si è espresso con nettezza come nel caso dell’annunciato no all’accordo Ceta. Il nome del numero uno degli agricoltori era stato fatto da Piero Fassino e poi rilanciato da Gariglio, ma la probabile sintonia su alcune questioni con il M5s al Governo, potrebbe spostare il successore indiretto di Paolo Bonomi su posizioni ben diverse da quella immaginate. In fondo anche il Coldiretti predomina il colore giallo.

Una candidatura di tal fatta spariglierebbe non poco, anche in casa grillina dove il nucleo storico che fa capo a Davide Bono pare abbia già individuato in Giorgio Bertola l’uomo da far correre per la presidenza (sempreché non si palesi una riproposizione dell’asse governativo con la Lega), perpetuando un disegno che ha già portato i due precedenti staffisti di Bono – Laura Castelli e lo stesso Bertola – una a diventare parlamentare e pure viceministro e l’altro a sedergli accanto a Palazzo Lascaris.

Schemi, da sinistra a destra passando per i Cinquestelle, ancora da definire e con candidati ancora da trovare com’è anche piuttosto naturale a poco meno di un anno dal voto con un quadro complesso, mutevole e non poco condizionato da un contesto nazionale senza precedenti. E, da ieri, ulteriormente cambiato dal mazziere che ha sparigliato.