OBITUARY

È morto Sergio Marchionne, rivoluzionario in pullover

Si è spento nel letto dell'ospedale di Zurigo dove era ricoverato dal 28 giugno per un intervento alla spalla destra. Il manager che ha salvato la Fiat e ha segnato il mondo imprenditoriale internazionale lascia due figli e la compagna Manuela

“Volevo andare alla Nunziatella a fare il carabiniere, l’ufficiale – rivelò un giorno, lui figlio di un maresciallo dell’Arma, Concezio –. Poi la storia ha preso un’altra piega”. La storia di Sergio Marchionne che da giovane sognava gli alamari e quando ben lontano dall’essere anziano era diventata già unica ed eccezionale nel mondo, adesso si è piegata tragicamente all’ineluttabile. Quelle parole non pronunciate, ma per questo ancor più dure nel loro significato avvolto dalla pietà e dal pudore verso il male invincibile, avevano preannunciato ciò che è avvenuto. Uno dei manager più famosi e potenti del mondo si è spento questa mattina a 66 anni (compiuti lo scorso 17 giugno) nella clinica svizzera, all’Universitätsspital di Zurigo, dove la notizia della banale operazione alla spalla destra si era scontrata, finendone subito sconfitta, contro la realtà: un intervento per un sarcoma nel corso del quale sarebbe stato colpito da embolia cerebrale, per poi precipitare in coma profondo. Condizioni definite quasi subito "irriversibili" affrontate dalla durezza del mondo degli affari e della finanza, con le regole che impongono decisioni impietose ma inevitabili. Le stesse che avrebbe preso lui che pure concedeva il dubbio se gli studi in filosofia ne avessero fatto un manager migliore, ma dicendosi convinto che gli avevano “aperto la mente ad altro”. Alle sfide, innanzitutto.

Era il primo giugno 2004 quando nella stessa sala che pochi giorni prima avevano fatto da contorno alle esequie di Umberto Agnelli, Marchionne, ancora in giacca e cravatta, si presentò alla stampa insieme al nuovo vertice del gruppo Fiat e le sue prime parole furono poche e chiare: “Fiat ce la farà. Prometto che lavorerò duro, senza polemiche e interessi politici”. Promessa mantenuta.

Arriva alla guida della Fiat con l’azienda che perde più di due milioni di euro al giorno. “Io pago il prezzo di tutti quelli che hanno mangiato al tavolo prima di me” disse nel 2010 al Salone dell’auto di Detroit. E Detroit segnerà gli anni successivi del manager italo-canadese. Nel dicembre 2008 spiegò che il settore si stava sempre più globalizzando e che per resistere alla competizione sarebbe stato necessario crescere di stazza. Quelle dichiarazioni erano il segnale della mossa cui stava lavorando: il 20 gennaio 2009 la Fiat annunciò un accordo con l’amministrazione statunitense per entrare nel capitale di Chrysler”. Una mossa senza ritorno. L’uomo che rinuncia alla giacca e alla cravatta per il pullover anche in occasioni in cui ad altri non si perdonerebbe quella trasgressione, ha nei primi anni un rapporto empatico con Torino.

La partita a scopone con Sergio Chiamparino e una luna di miele con i sindacati che però poi finirà. Continuerà, invece, fino alla fine la sua quasi ossessiva attenzione alla privacy. Pochissime le notizie sulla sua vita privata – una sorella morta in giovane età, un matrimonio finito sei anni fa, due figli, Alessio Giacomo e Jonathan Tyler, da alcuni anni una compagna, Manuela Battezzato, conosciuta in Fiat dove lavora all'ufficio comunicazione  – che quasi si stentava a credere potesse esistere, visti i ritmi di lavoro e i continui spostamenti per il globo. “Alle 4 sono gà al computer” diceva e nessuno lo ha mai dubitato.

Diceva che cucinare lo rilassava e che aveva imparato a bere vino dopo i quarant’anni. Aborriva la mondanità. E l’immagine di lui con le borse della spesa in una piazza di Torino, appena un anno fa, non erano costruite, ma rubate. Come quella mezz’ora per andare a comprare formaggi nella città che ormai lo sentiva un po’ meno suo e più americano. Ma non ha mai smesso di stimarlo e di riporre in lui speranze, troppo spesso da altri tradite.

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