Olimpiadi del mattone

Risalendo in automobile la Valle Chisone in direzione Sestriere, tramite la vecchia statale 23 (da qualche anno strada provinciale), è possibile toccare con mano alcune ingombranti eredità lasciate dalle Olimpiadi invernali del 2006: cupe testimonianze a memoria futura, oramai utili solamente a fornire ottimi argomenti nelle mani di chi si dichiara contrario a qualsiasi ulteriore candidatura olimpica del capoluogo subalpino.

Giunti a Pragelato è sufficiente voltare lo sguardo alla propria sinistra per osservare il trampolino olimpionico. L’impianto, davvero impattante, è stato realizzato in tempi relativamente brevi. Complessivamente la struttura è composta da alcuni trampolini minori posti a cornice di quello principale, formando in tal modo un ciclope visibile da grande distanza: opera che non vuole minimamente celare l’approccio un po’ spaccone consegnatole da chi l’ha ideata. Il cantiere olimpico di Pragelato ha letteralmente modellato la montagna posta alla destra orografica del Chisone, modificandone l’aspetto geologico per sempre e non risparmiando un’intera foresta di abeti dalla distruzione.

Il mega e costoso trampolino di Pragelato è stato utilizzato raramente, ad esclusione dei primissimi anni seguenti l’evento olimpico, trasformandosi presto in un immenso monumento all’oblio, uno dei tanti. A riprova infatti, superato lo shock, il viandante determinato a raggiungere l’Alta Valle Susa può ancora mettere alla prova il proprio spirito ambientalista svoltando a sinistra, prima di entrare in Sestriere, e imboccare così la strada che conduce alla verdissima Val Troncea.

La Val Troncea è in gran parte area protetta ma purtroppo è stata ugualmente deturpata e mutilata dall’ennesimo scempio perpetuato nel nome di “Torino 2006”. Un villaggio, edificato anch’esso in fretta e furia, è spuntato dal nulla grazie a valutazioni superficiali di piani paesaggistici e impatti ambientali. La corsia privilegiata su cui sono stati instradati i lavori olimpici porge oggi un conto salato a tutta la comunità (inconsapevoli inclusi), ed il biglietto da visita presentato a chi accede nell’area protetta del pragelatese è assai deprimente: una colata di cemento “alpina” degna delle peggiori speculazioni urbane.

I villaggi, insieme agli impianti sportivi, sono spuntati un po’ ovunque nel torinese che si preparava al 2006: alloggi per giornalisti, residenze per le squadre, locali per i tecnici e la logistica. In città come in montagna la lobby del calcestruzzo ha avuto modo di ricevere ampia soddisfazione. Le palazzine ex Moi bene raffigurano la filosofia alla base di molti progetti a cinque cerchi: realizzare tutte le strutture in modo tale da garantire la loro esistenza almeno sino alla cerimonia di chiusura dell’evento internazionale. In seguito qualcuno avrebbe provveduto ad evitarne la rovina tramite manutenzioni ordinarie e soprattutto straordinarie.

Le palazzine colorate sorte al posto dei mercati generali di Torino hanno iniziato a cadere a pezzi molto in fretta, mostrando crolli di intere parti di intonaco della facciata già nel 2007: un degrado annunciato a cui non ha portato palpabili peggioramenti l’occupazione di alcuni edifici da parte dei richiedenti asilo africani.

Il quadro sin qui disegnato sarebbe incompleto se non si facesse cenno all’amianto rimosso tra mille polemiche, e molto rapidamente, per fare posto alle piste di gara montane; oppure non menzionando il considerevole debito che la kermesse sportiva ha consegnato al già fragile bilancio comunale di Torino. Una lunga serie di motivazioni che vanno sicuramente a sostegno della schiera di coloro che appena sentono la parola “Olimpiadi” mettono mano ai cartelli “No Grazie”, scendendo in piazza per manifestare il loro pieno dissenso.

Quotidianamente la politica annuncia forti preoccupazioni per lo stato di salute del nostro pianeta, citando come un mantra il pericoloso innalzamento della temperatura climatica di cui è vittima l’intero globo (in Norvegia questa estate le temperature hanno raggiunto i 35 gradi). Vengono ritualmente annunciate dalle pubbliche amministrazioni necessarie misure per salvaguardare l’indispensabile patrimonio naturalistico, ma innanzi ad esposizioni internazionali o candidature olimpiche tutto si trasforma da emergenza reale ad “inutili ansie di fanatici ambientalisti”, permettendo così al cemento di regolare nuovamente ogni cosa.

Lo stesso elogio allo sport si presenta, alla vigilia di importanti candidature a sede di gare internazionali, quale spietata parodia di se stesso a causa di una realtà molto diversa da come viene narrata dalla retorica di regime. Praticare sport, infatti, è tutt’altro che facile ed economico. Malgrado il richiamo continuo dei principi sportivi da parte dei media e della politica, dedicarsi alle attività fisiche è sempre molto costoso: soprattutto gli sport invernali sono sovente retaggio di chi, benestante, può permetterselo.

I costi dei pass giornalieri sulle piste da sci sono proibitivi per gran parte delle famiglie, malgrado il sostegno pubblico di cui beneficiano i gestori degli impianti di discesa; così come onerose sono le attrezzature necessarie all’allenamento. Coloro che vivono con uno stipendio medio hanno difficoltà anche nel fare sport in acqua. Valutando le numerose piscine di proprietà comunale (per cui teoricamente a disposizione di tutti) diventate inaccessibili poiché date in gestione ai privati (il Pubblico paga per la loro costruzione e poi le consegna a terzi che regolarmente rendono le vasche “esclusive”) la beffa collettiva si somma ai danni patiti dalla salute pubblica.

Le Olimpiadi sono nate quale sintesi di sani principi e dialettica tra le nazioni, e il loro spirito iniziale andrebbe conservato nonché rilanciato con forza ma fuori da ogni business. Ospitare una sana competizione leale, in cui si cimentano atleti da tutto il mondo, è sempre momento di grande vitalità e armonia. Il dominio degli “affari” su ogni cosa purtroppo ha rovinato l’eredità sportiva proveniente dall’antica Grecia, sia regalando le gare al potere del mattone e sia non permettendo la crescita personale dei cittadini tramite uno sport di libero accesso a chiunque.

Paradossi, come già scritto, opprimenti, la cui presenza condiziona pesantemente il benvenuto a qualsiasi campionato mondiale e manifestazione olimpica. Gli spazi da recuperare e riportare a dignità non mancano, nemmeno gli impianti da mettere a disposizione di tutti. Con il buon senso, unito al rispetto per la comunità che si amministra oltre che per l’ambiente circostante, le Olimpiadi non rappresenterebbero una minaccia ma al contrario un’opportunità.

Opportunità purtroppo ad oggi sempre affidata al solo partito del cinico business.  

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