SEI UN MI.TO

Torino è sempre meno smart, Christillin lavora per Milano

La fine dell'avventura all'Enit, il nuovo impegno con Sala, le Olimpiadi sfumate "a causa del Cinquestelle e per l'isolamento di Appendino". La Signora degli A(g)nelli tra passato e futuro: "Ammiro Chiamparino, sarà dura ma lui ha coraggio e corde giuste"

“La partita te la giochi senza parlare male dell’avversario, è fair play”. Difende Chiara Appendino in tutto e per tutto quel che ha cercato di fare per avere le Olimpiadi a Torino, ma quell’immagine di Milano avvolta dallo smog accanto a quella di Torino con il cielo terso e le montagne innevate (per non dire del refuso) Evelina Christillin all’amica sindaca non la perdona.

Una caduta di stile dopo che gli sgambetti, duri calci negli stinchi, le erano arrivati dai suoi: in consiglio comunale e dall’alto di un partito, pardon movimento, il cui capo politico si spende a favore dei Giochi a Torino, “adesso, a babbo morto. Quando ormai Giovanni Malagò è a Buenos Aires al Cio con le candidature di Cortina e Milano”. Il fair play della Christillin – Crudelia quando era la signora, ovvero il dominus, delle Olimpiadi di 12 anni fa – non è parente dell’ipocrisia: ai vertici della Fifa e, ancora per pochi giorni (forse fino a lunedì prossimo) presidente dell’Enit non gira attorno alla questione neppure se è quella della fine del suo mandato (ricevuto all’epoca da Matteo Renzi) alla guida dell’ente nazionale del turismo rimesso in sesto e, soprattutto, della nuova avventura che l’attende: un importante incarico in Smart City, il soggetto costituito dal Comune di Milano con la Camera di Commercio.

La manager torinese che ha legato il suo nome a Torino 2006, ma anche al rinascimento del Museo Egizio, andrà a lavorare per quella città che in un imperdonabile scivolone la sua amica Chiara ha rappresentato come inquinata e non meritevole di ospitare le Olimpiadi.

Lei a lavorare per Milano, presidente Christillin sembra l’ennesimo scippo ai danni di Torino.
“Ma io spero di far lavorare insieme le due città. Continuerò ad occuparmi di turismo anche lì”.

Però la sua avventura con Enit ormai è finita. È stata dura?
“Avventura mi pare la definizione giusta, specie per gli inizi. Per chi come me ha quasi sempre lavorato nel privato, tuffarsi nella burocrazia romana non è stato facile. Non che fossi arrivata digiuna, di turismo me ne ero occupata, però subito è stato come tornare a studiare una materia non del tutto nuova. La situazione era difficile: avevamo oltre settanta dipendenti che dopo la riforma voluta dal ministro Dario Franceschini avevano optato per lasciare l’Enit e rimanere nella pubblica amministrazione, ma per completare quel passaggio ci sarebbe voluto più di un anno. E lavorare con chi pensa di andarsene non sempre è facile”.

E poi com’è andata?
“Che sono arrivati gli ex dipendenti di una società fallita che operava in house di Enit, erano in 22. Con loro si è fatto il lavoro che prima facevano in poco meno di ottanta. Adesso Enit ha i conti in ordine e sono stati invertite le voci di bilancio: prima il 70% veniva speso per il personale e il 30 per la promozione dell’Italia all’estero, insomma la missione di Enit. Adesso, e da un po’ ormai, succede il contrario. Le sedi estere sono aumentate da 22 a 29 senza dover incrementare il personale, solo distribuendolo meglio”.

Il vecchio carrozzone, qual è stato per molti anni l’ente, adesso viaggia spedito, e lei deve lasciarne la guida. Amareggiata?
“Di questo preferisco non parlare, le polemiche non servono e non mi piacciono. Preferisco insieme ai numeri che ho appena citato, ricordare anche come sia stato riscostruito un buon rapporto con le Regioni. Visto che fallito il referendum del 4 dicembre la titolarità delle politiche turistiche è rimaste a loro, si trattava di ritessere un rapporto di fiducia sfilacciato negli anni. E ci siamo riusciti. Pur conservando ciascuna regione le proprie peculiarità e le proprie politiche turistiche quando si andava in giro si era tutti insieme sotto il grande cappello Italia e parlo delle fiere più importanti come quelle di Berlino, Londra, Barcellona. E il brand Italia è sempre il più amato al mondo”.

Che giudizio da sulla politica turistica del Piemonte in questi ultimi anni? Si è fatto abbastanza?
“Si è fatto molto leva sulla forza delle Langhe, forse un po’ meno su quella dei laghi. La filiera importantissima del food, per non parlare del vino, ha dato e sta dando risultati molto buoni. Forse, magari qualche cosa in più si sarebbe potuto fare sulla parte culturale, ma tutto sommato è un bilancio buono quello del Piemonte”.

Mancano solo le Olimpiadi. Dove ha sbagliato la sindaca?
“Chiara, non smetterò mai di difenderla su questo, perché lei ci ha creduto e ha fatto quanto poteva. Però ha dovuto confrontarsi con una sua maggioranza che non le è certo andata molto dietro per usare un eufemismo. E forse anche con una politica nazionale del suo partito che non ha considerato come prioritario il fattore olimpico e neanche il Piemonte.

Il vicepremier Luigi Di Maio, però continua a dire che Torino è la candidatura migliore.
“A babbo morto.  Quando ormai sono partiti per Buenos Aires con Cortina e Milano, dirlo adesso  è facile. La povera Appendino è rimasta un po’ isolata”.

Però continuare a chiedere la candidatura unica per Torino non è stato condannarsi all’esclusione?
“Faccio una premessa: parlo spesso con Beppe Sala, anche perché come ho detto andrò a lavorare con loro a breve, e ognuno dice che sono state cambiate le carte in tavola e ognuno ha la sua parte di ragione. Non voglio fare la democristiana, ma è così. A Sala Malagò insieme allora ministro Luca Lotti chiese di pensare a una candidatura di Milano, anche per sanare il vulnus di Roma 2024 sfumata per il no di Virginia Raggi, e perché Milano è città europea, internazionale, in grande sviluppo, tutte cose verissime. Sala dice di si con qualche perplessità perché c’era rimasto molto male per il sorteggio per l’Ema (l’agenzia europea del farmaco, ndr) che aveva visto vincere l’Olanda. Poi ha ragione a dire, come ha detto di recente, che le carte in tavola erano cambiate. Ma perché? Perché lui è diventato all’improvviso antipatico o perché nel frattempo è arrivato un governo Lega-Cinquestelle, perché c’è un altro ministro dello Sport? Nel frattempo si erano fatte avanti due due candidature che un anno fa neppure si profilavano all’orizzonte. Insomma hanno tutti un po’ di ragione”.

La sindaca ha puntato molto sul fatto che Torino era la più dotata in fatto di impianti, ma questa si è subito dimostrata una carta troppo debole. Lei cosa avrebbe fatto?
“Non voglio fare paragoni con il 2006, sono passati vent’anni dall’avvio di quella candidatura, allora c’era l’Avvocato Agnelli, c’era la Fiat, tante cose erano diverse e non si possono fare raffronti. Per posso dire che se Appendino ha pure ragione nel sostenere la tesi degli impianti, io però conosco molto bene il Cio e il mondo dello sport: ci sono due fattori che vanno tenuti presente come zavorra, come ostacoli sulla candidatura di Torino. Il primo è dovuto a quello che ha combinato la Raggi con Roma, con un atteggiamento perlomeno dubbio circa la tenuta dei Cinquestelle sulle candidature olimpiche. L’altro èciò che è avvenuto a Torino non da parte della sindaca, ma della sua maggioranza dove c’era chi voleva fare, addirittura, una commissione di inchiesta su Torino 2006, di cui era stata tra i giovani volontari. Date queste premesse era molto, molto difficile che il Cio si fidasse non della sindaca, ma di una candidatura di Torino da sola, con tutto quello successo a Roma prima e poi nella stessa Torino con i Cinquestelle.

La Appendino l’ha presa male e ha pubblicato la fotografia di Torino con le montagne innevate accanto a quella di Milano nella cappa di smog. Cos’ha pensato quando le ha viste?
“Che è stata una caduta di stile. Non avrei mai pubblicato quelle due immagini. Quando fai una gara non demonizzi l’avversario. È fair play”.

Quello che magari, adesso, lei userà per rispondere alla domanda su come vede la ricandidatura di Sergio Chiamparino alla presidenza della Regione.
“No, sono sincera e stimo moltissimo Chiamparino, quindi non serve fair play. Per quello che lo conosco e non perché abbia settant’anni, visto che ora va più forte in montagna di prima, però credo che non morisse dalla voglia di ricandidarsi. Però il suo mi sembra un Obbedisco alla Garibaldi, una risposta in un momento non facile, il suo affetto per questo territorio e per la sua parte politica. Insomma nel momento in cui c’è bisogno, lui c’è. E per questo ha tutta la mia ammirazione e bon courage, visto che sarà una campagna faticosa: ha davanti un bel quinto grado, ma lui ha le corde giuste, i ramponi e il caschetto”. 

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