SACRO & PROFANO

Il cattolicesimo democratico è morto. Amen

Trovare le ragioni dell'impegno politico senza ripercorrere vecchie strade identitarie, "fuori luogo e fuori tempo". Per Castellani la sfida dei credenti è costruire con le altre culture un "progetto di futuro". La due giorni a Susa della Rete bianca

“L’idea di costituire un soggetto politico di ispirazione cristiana, che si caratterizzasse per questa sua identità, a me sembra un’ipotesi fuori tempo e anche fuori luogo”. Cattolico, trascorsi studenteschi nella Fuci, ex segretario del Consiglio pastorale diocesano, Valentino Castellani il prorettore del Politecnico diventato sindaco nel ’93 anticipando con Alleanza per Torino la nascita e l’esperienza ulivista, democristiano non lo è mai stato. “Forse, chissà, se fossi rimasto Friuli lo sarei potuto diventare, ma nel ’58 sono venuto a Torino”. Ci giunse appena diciottenne in quella città che esattamente trent’anni dopo udì quelle parole di Papa WojtylaTorino, convertiti! – per lungo tempo oggetto di un’interpretazione forse troppo risentita quanto fuorviante che guardava al demonio, anziché al laicismo. “Torino non avere paura” aveva esortato, ancora Giovanni Paolo II, nella sua prima visita – era il 1980 e gli anni di piombo non erano ancora finiti – quando all’offertorio un giovane Castellani segretario del consiglio pastorale porse il pane al Pontefice.

“Non è pensabile, né lo è mai stato, che leggendo il Vangelo, ispirandosi alle radici profonde dell’essere cristiani si possa dedurre da lì quali sono le azioni politiche da intraprendere. Detto questo, capisco che c’è stato un momento storico nella storia del nostro Paese in cui un soggetto politico, sia pure con tutte le ambiguità che in alcuni passaggi si sono verificate, come quello della Dc abbia avuto una sua giustificazione storica”. Il cristiano mai stato democristiano, oggi quando ancora a Torino c’è chi si interroga sul ruolo dei cattolici in politica auspicandone un rinnovato impegno, non tradisce il suo approccio laico storicizzando esperienze di riconosciuto valore, ma non replicabili.

Se, come se ne discuterà oggi e domani a Susa per iniziativa di Rete Bianca – il progetto politico tra i cui ideatori c’è l’ex parlamentare Giorgio Merlo e altri “discepoli” di Carlo Donat-Cattin assieme a esponenti di diverse tradizioni, come il ciellino Giampiero Leo – c’è chi lavora per una ricomposizione dell’area cattolico-democratica popolare e sociale, l’uomo che riuscì, in politica, ad anticipare a Torino modelli che nel Paese sarebbero arrivati più tardi, su questo ipotetico scenario ha un’idea molto chiara: “Credo che oggi porsi la domanda se ha senso costituire un soggetto politico di ispirazione cristiana sia fare del politicismo, un discorso top down. La controprova – spiega Castellani nel colloquio con lo Spiffero alla vigilia del convegno cui parteciperà, invitato tra i relatori – sta nel fatto che tutti i soggetti politici molto identitari hanno sempre meno risposta dall’elettorato, meno rispondenza da parte della società. In una politica liquida quello che conta non è l’identità, ma il progetto”.

Politica liquida, i modelli tradizionali di partito ormai superati, ma anche chiese sempre meno affollate: sta forse in questo, o anche in questo, la fine ormai datata anni addietro del visibile impegno dei cattolici nella politica? La risposta l’ex sindaco di Torino la affida a un’ulteriore riflessione proprio su come vada inteso e affrontato “il tema dei cristiani in politica”. Osserva che “sì, ci sono credenti che sono impegnati eccome, però è declinando in qualche modo l’appartenenza a un nucleo di fede che deduco quali sono i progetti politici; c’è un salto da fare, occorre una mediazione, una cultura e una presa di responsabilità da parte di ciascuno, altrimenti non capiremmo come ci siano cristiani conservatori e progressisti, cristiani che sono stati comunisti o sono stati fascisti”.

“Se la domanda è su quale sia il paradigma prioritario dell’impegno politico dei cristiani, io dico che è costruire un progetto di futuro. Che, naturalmente per me che sono cristiano, vuol dire attingere a un patrimonio di valori che stanno nella nostra cultura e nella nostra storia. I quali, però, vanno messi in campo e giocati insieme ad altri soggetti per costruire insieme un progetto condiviso”.

E la condivisione fu la carta vincente per la sua vittoria nel 93 con quella Alleanza che vide anche un momento di forte mobilitazione e impegno del cattolicesimo sociale, anche per la scelta dei candidati al consiglio comunale: dalle Acli ai movimenti delle famiglie agli scout, con riunioni nella storica sede dell'Azione Cattolica di corso Matteotti.

Oggi, venticinque anni dopo, Castellani si dice convinto della necessità di “partire dal basso, ci sono da ricostruire dei fondamentali: nella cultura diffusa stanno passando in questo momento messaggi particolarmente pericolosi – avverte –. I pilastri della democrazia liberale rischiano di saltare. Prendiamone uno: quello della divisione dei poteri, quando sento un vicepresidente del Consiglio che dice: io sono stato eletto e i magistrati no, è un messaggio inquietante. Non perché sia falso, ma perché mina uno dei pilastri, dei fondamenti della democrazia, spostando la legittimazione esclusivamente sul consenso. È il populismo nel suo significato più letterale”.

Guardando alle nuove generazioni e alle nuovi mezzi di comunicazione, uno dei concetti cari e fondamenti per il cattolicesimo sociale, quello di comunità, impone una riflessione profonda e a tratti dolorosa: “I miliardi di gigabyte di informazione non sono ancora conoscenza critica, capacità di relazione. I social sono una parodia della comunità.  Bisogna ripartire dal tornare in mezzo alle persone, costruire comunità. Perché purtroppo occorre dare ragione a quanto sostenuto dal filosofo Zygmunt Bauman: questa dei nostri giovani è una generazione di solitari interconnessi”.

A Susa, insieme a Castellani interverranno, tra gli altri, Guido Bodrato, Alberto Chiara, Marco Follini, Daniele Ciravegna, Alessio Ferraris, Giuseppe Sangiorgi, Paolo Viana, Mauro Carmagnola e per molti di loro due figure restano nel pantheon del cattolicesimo sociale: Donat-Cattin, ma anche quel predecessore indiretto di Castellani che fu Giovanni Porcellana, sindaco per un breve periodo agli inizi degli anni Settanta, nel periodo di massimo sviluppo della città. E se l’ex ministro fu il mentore politico di una generazione di democristiani, Porcellana la forgiò all’arte dell’amministrazione pubblica.

“Quello dei democristiani di sinistra fu un filone di cristianesimo sociale molto interessante – osserva Castellani –. Però ha fatto la storia, nel senso buono. Sono schemi del Novecento non più replicabili. Uno può anche rammaricarsene, io non lo faccio, tuttavia bisogna prima di tutto fare i conti con la realtà. Così come non sono replicabili gli schemi identitari delle ideologie, non lo sono neppure quelli di azione politica che hanno connotato un periodo”.

Un vissuto della politica archiviato nella storia, del quale l’ex sindaco riconosce un’essenza ancora attuale, o meglio, attualizzabile: “L’unica cosa, e non è affatto poco, che si può salvare di quel patrimonio, sono i valori, che non sono fondamentalmente cambiati. Penso a quella fraternità, alla base con la libertà e l’uguaglianza della rivoluzione francese fondamento degli Stati moderni. Ecco, penso non ci si debba fermare, oggi più che mai, alla libertà e all’uguaglianza. Di fraternità, la si chiami anche solidarietà sociale o attenzione agli ultimi,  si parla ancora troppo poco. Credo non si possa pensare di essere compiutamente cristiani senza declinarli tutti, quei valori, nella loro dimensione civile”. 

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