GLORIE NOSTRANE

Fassino fuori dalla Sala Rossa

L'espulsione di ieri potrebbe essere l'avvisaglia della definitiva uscita dell'ex sindaco da Palazzo civico. A porre la questione è Giachetti a cui la Commissione di garanzia del Pd ha imposto di scegliere tra parlamento e Campidoglio. "E allora Piero?"

“Piero sì e io no. Perché?”. Adombra un utilizzo ad personam, o meglio contra personam, della Commissione di garanzia nazionale del Pd Roberto Giachetti, che entro la fine dell’anno dovrà decidere se continuare a sedere tra i banchi di Montecitorio o in Campidoglio, sede del Consiglio comunale di Roma. Le due cariche, secondo quanto previsto dallo Statuto del partito sono incompatibili, ma allora perché nessuno ha sollevato il problema nei confronti di un caso analogo, come quello di Piero Fassino?

I due, Giachetti e Fassino, si sono candidati a sindaco delle rispettive città – Roma e Torino – nel 2016 ed entrambi sono usciti sconfitti dalla competizione elettorale. Tutti e due sono stati poi eletti, nella scorsa primavera, in Parlamento. Ma se per Giachetti è iniziata una procedura dell’organismo di garanzia del partito che nei giorni scorsi gli ha imposto l’aut aut, fissando al 31 dicembre 2018 il termine perentorio per scegliere “quale tra le due cariche elettive continuare a ricoprire”, per Fassino non si è mosso nulla.

È lo stesso Giachetti che mette in evidenza il caso di due pesi e due misure, con un post via social nel quale pubblica la foto dell’ex sindaco di Torino, assieme ai colleghi che espongono, nella seduta di ieri, i manifesti Sì Tav per protestare contro la decisione della maggioranza grillina di approvare un ordine del giorno per bloccare l’opera. “Vedere Piero Fassino impegnato nel consiglio comunale di Torino contro il blocco della Tav è motivo di orgoglio per tutto il Pd – è la doverosa premessa, poi però arriva l’affondo –. Contro di lui, giustamente e saggiamente, non c’è stato alcun provvedimento della Commissione Nazionale di Garanzia. Il che rende evidente che quella pronuncia sia proprio contro una sola persona, la mia”. Giachetti che è in sciopero della fame dal 18 settembre, per chiedere il congresso del Pd, chiede quantomeno un pari trattamento.

Intanto la presenza di Fassino in Sala Rossa diventa sempre più ingombrante anche per la compagine democratica che ha come compagno di banco colui che rappresenta l'emblema di una sconfitta, quella del 2016, e consente alla maggioranza, nel dibattito d'aula, di rinfacciare, spesso e volentieri, le mancanze della passata amministrazione, avendo un bersaglio chiaro e riconoscibile contro cui puntare il dito. Inoltre il fatto stesso che sia stato eletto a Montecitorio in un collegio fuori dal Piemonte (in Emilia Romagna) allenta enormemente il rapporto con il territorio e con la stessa città. Finora il Lungo non ha mai accennato, almeno pubblicamente, a sue possibili dimissioni. Quello scranno in Consiglio comunale, dopotutto, gli consente di conservare l’incarico nel Comitato delle Regioni dell’Unione Europea, un organismo di cui fa parte proprio in quanto membro dell’assemblea cittadina di Torino. Nella sua testa però starebbe maturando l'idea di lasciare già entro la fine dell'anno, spalancando i portoni di Palazzo Civico per Lorenza Patriarca, la prima esclusa del Pd.

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