FEDERALISMO

Autonomia del Piemonte, braccio di ferro Lega-M5s

Il dossier è sul tavolo del ministro Stefani che denuncia manovre dilatorie dei colleghi grillini. Perentorio il numero uno del Carroccio: "È uno dei pilastri del contratto di governo, se ne facciano una ragione"

La Lega pigia sull’acceleratore e i Cinquestelle sul freno. Così, con un governo che pare una macchina da scuola guida con i doppi comandi, la strada verso una maggiore autonomia per le Regioni che l’hanno intrapresa potrebbe farsi più lunga del previsto.

Una prospettiva che non piace per niente alle due teste di ponte (o di ariete): Veneto e Lombardia che spingono per portare a casa il risultato già prima di Natale, come peraltro promesso da Matteo Salvini che aveva individuato entro l’autunno la deadline per la risposta concreta a quanto richiesto dal fronte dai due enti, entrambi guidati da esponenti del Carroccio. “Spero che la partita dell’autonomia si chiuda entro questa settimana” dice il governatore veneto Luca Zaia, al quale fa eco il collega lombardo Attilio Fontana. Ma tra i dossier già istruiti su cui deve decidere il governo c’è anche quello dell’Emilia-Romagna del piddino Stefano Bonaccini.

Quanto a quello relativo al Piemonte, che nelle scorse settimane aveva accelerato l’iter per non perdere il treno, è lo stesso ministro leghista agli Affari Regionali Erika Stefani a confermare che lo prenderà in mano questa settimana. Solo dopo toccherà a Toscana, Marche e Liguria. Ma è sempre la Stefani a non negare che “se il presidente del Consiglio nelle settimane scorse aveva preso l’impegno di far andare avanti il processo di autonomia, non tutti lo hanno preso in parola”. In una intervista a Libero, il ministro ha elencato i suoi colleghi che ancora non hanno dato riscontro sulla questione: Giulia Grillo alla Salute, Alfonso Bonafede alla Giustizia e poi i due dicasteri – Lavoro e Sviluppo Economico – la cui titolarità è di Luigi Di Maio. Non proprio un caso, che siano tutti del M5s. E a un bel ripetere la Stefani che “l’autonomia farà bene anche al Sud”. Per i Cinquestelle il via libera ci sarà, ma a una condizione: saldi invariati e livelli essenziali garantiti in tutto il Paese. La questione dei saldi che mai come in questo caso fa rima con soldi è cruciale: Zaia lo ha sempre ripetuto fissando l’obiettivo ai nove decimi delle tasse pagati dai veneti.

Un’asticella che, se raggiunta, toglierebbe qualcosa come tre miliardi alle regioni con meno capacità fiscali. Un braccio di ferro non troppo evidente, ma che ormai va avanti da un po’ quello tra il partito di Salvini e quello di Di Maio su uno dei punti qualificanti, un vero e indiscusso cavallo di battaglia, del Carroccio, Ma anche un’opportunità colta da Regioni amministrate dal centrosinistra, come l’Emilia-Romagna e lo stesso Piemonte, pur rinunciando all'effetto referendum utilizzato in Veneto e Lombardia.

Proprio per non rimanere troppo indietro rispetto a Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna, il mese scorso il Consiglio regionale aveva bruciato i tempi. Governo del territorio, beni paesaggistici e culturali; protezione civile e infrastrutture; tutela e sicurezza del lavoro, istruzione tecnica e professionale, istruzione e formazione professionale e istruzione universitaria; politiche sanitarie; coordinamento della finanza pubblica e governance istituzionale; ambiente; fondi sanitari  integrativi; rapporti internazionali e con l’Unione Europea: queste le otto ampie aree tematiche per le quali il Piemonte chiede maggiore autonomia.

“Se il Veneto l’ha richiesta per tutte le materie contemplate e la Lombardia ha anch’essa ha un lungo elenco, noi abbiamo preferito puntare più sulla qualità che sulla quantità” spiega Luca Bona, consigliere regionale di Forza Italia primo firmatario dell’ordine del giorno del luglio scorso che, accolto dal Consiglio, aveva fatto riportato all’attenzione dell’assemblea di via Alfieri un tema più volte accantonato o comunque di cui era stata rinviata spesso la discussione.

“Per noi la richiesta di maggior autonomia non è uno stare alla moda dei tempi, ma è la consapevolezza forte e profonda che c’è bisogno di un nuovo equilibrio tra le Regioni e lo Stato, da realizzare partendo, per il Piemonte, dal proprio contesto economico, sociale e demografico, per individuare quali sono i fattori di sviluppo”, aveva spiegato il vicepresidente della Regione Aldo Reschigna.

Una decisione, quella di non perdere ulteriore tempo, anche strategica per il centrosinistra, visto che proprio l’autonomia sarebbe stata (e comunque in parte sarà ancora) uno dei punti forti della campagna elettorale per le regionali da parte del centrodestra e in particolare della Lega. L’aver avviato l’iter, in qualche modo, potrebbe ridurre la portata di attacchi del partito di Salvini contro Sergio Chiamparino. Che adesso, tra i suoi esponenti di governo e in Parlamento non nasconde la crescente irritazione per quel neppur troppo mascherato ostruzionismo grillino, sotto la spinta delle Regioni del Sud dove il M5s ha preso il maggior numero di voti, situazione di cui rischia di fare le spese ovviamente, anche il Piemonte.

Più di una fonte del Carroccio sbuffa ricordando il ministro per il Sud Barbara Lezzi e i suoi neppur velati riferimenti all’autonomia a vantaggio dei ricchi e contro i poveri e si capisce come il nervosismo monti da quelle parti dove non si fa mistero del tentativo grillino di frenare sulle risorse da attribuire alle Regioni.

“Non so se qualcuno frena, ma una cosa è chiara: per la Lega – dice il capogruppo a Montecitorio e segretario regionale Riccardo Molinari – l’autonomia è uno dei pilastri del contratto di governo. Se non va bene a qualcuno dei Cinquestelle, noi abbiamo mandato giù dei rospi su alcuni temi, vorrà dire che ne ingoieranno qualcuno anche loro”.

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