VERSO IL 2019

Forza Italia tra Opa leghista e sirene chiampariniane

Il Carroccio ha già svuotato il granaio elettorale e il resto se lo vuole pappare il governatore con la sua proposta civica. Berluscones in bambola guidati da un coordinatore "alieno" che, in attesa di ordini da Arcore, fa ammuina con i suoi colonnelli

“Potremo mica morire tutti leghisti?”. Al telefono in un corridoio di Palazzo Lascaris il forzista la risposta a quella domanda ce l’ha e non è un sì. Ma, nel nervosismo di un’attesa che il Carroccio sembra allungare lasciando sulla graticola gli azzurri che lì già ci sono finiti da soli per via della vicenda giudiziaria cui è appesa la candidatura a presidente della Regione dell’europarlamentare Alberto Cirio, forse non associa la frase con cui il Manifesto titolò a tutta pagina il 28 giugno del 1983 a una sorta di nemesi, di corsi e ricorsi in cui la politica spesso finisce con bizzarre coincidenze. Furono proprio le fotocopie di quel giornale ad essere sventolate in Parlamento dai leghisti il 29 gennaio di 32 anni dopo in occasione della candidatura di Sergio Mattarella al Quirinale.

Il quiotidiano comunista aveva scritto “Non moriremo democristiani” quando la Dc, pur rimanendo il primo partito, aveva accusato un crollo del 6%. Adesso Matteo Salvini continua a viaggiare nei sondaggi con il vento in poppa, manovra in modo che appare agli azzurri più che sospetto per le regionali in Abruzzo lasciando addirittura immaginare una manina verde in soccorso ai Cinquestelle e, insomma, fornisce più di una ragione ai berluscones o almeno a quella parte di essi non disposta a finire nel pentolone di Matteo il cannibale per nutrire più di un timore. E guardarsi attorno, oltre che ovviamente dietro.

E senza arrivare ai 370 gradi grillini di Barbara Lezzi, negli ambienti più liberal e meno filosalviniani (per convinzione o per costrizione) di Forza Italia si scorgono, senza troppo stupore né imbarazzo, i segnali di quella che per brevità qualcuno definirebbe un tentativo, per nulla ostile, di opa da parte di Sergio Chiamparino verso quel mondo che il partito di Silvio Berlusconi rappresenta sempre meno e, magari, pure su qualche esponente politicamente attivo per nulla disposto, appunto, a morire leghista.

“Bisogna dire che si muove bene” dice una qualificata fonte azzurra allo Spiffero, parlando del governatore e ricordando la sua accelerata, senza strappi, lungo i binari della Tav verso quei mondi dell’impresa e delle associazioni che hanno rilevato come la determinazione forzista su questo tema e su quello più ampio della sviluppo, spesso abbia finito per apparire frenata dal timore di irritare troppo l’azionista di maggioranza della coalizione che i numeri danno decisamente favorita per il futuro governo della Regione. Lo fa senza infingimenti rivolgendosi a quei mondi, e sull’altro fronte “si stanno muovendo con cautela, ma si muovono, gli emissari”.

Una diplomazia segreta che ha ben chiara la geografia forzista, con le sue zone pronte all’anschluss leghista, quelle cui sa di poter guardare il fronte destro, con i Fratelli d’Italia che in Piemonte sono sempre più in mano di ex azzurri, come Roberto Rosso e Fabrizio Comba e poi quell’area liberale, centrista dove una proposta molto legata al futuro del Piemonte e calata in chiave civica potrebbe essere, perlomeno, presa in considerazione.

Alla Lega, nonostante le sue origini affondino nel mito dei Comuni, le liste civiche non piacciono. Lo ha fatto sapere agli alleati, concedendo solo un’eccezione al sovranista Gianluca Vignale e, guarda caso, sperando che la sua lista rosicchi un po’ di consensi proprio a Forza Italia e, magari pure al partito di Giorgia Meloni per evitare che anche in Piemonte si allarghi troppo.

Chiamparino, invece, proprio al civismo guarda come ancora di salvezza tenendosi sempre più a debita distanza dalle beghe, ora congressuali, di un Pd non certo nelle condizioni di poter assicurare al governatore uscente quel sostegno necessario per ingaggiare la battaglia delle battaglie. Un probabile spostamento dell’asse dem verso sinistra, come le manovre degli ultimi giorni lasciano intravvedere, non agevola certamente il dialogo con quegli ambienti produttivi (e fornitori di lavoro) dai quali mai come in questi ultimi mesi sono arrivati segnali forti e forti prese di posizione, inimmaginabili fino a poco tempo fa. Chiamparino le ha intercettate al volo, comprese e capito che quei mondi sono oggi più che mai gli interlocutori per cercare di affrontare le questioni dello sviluppo, della crescita e del lavoro.

Temi che incrociano, senza alcun rischio di inciucio o bestemmia politica, una parte dell’elettorato e alcuni stessi esponenti di Forza Italia. Dove alla possibile, sia pure ipotetica, rinuncia da parte di Cirio nel caso l’inchiesta volgesse in direzione a lui sfavorevole, molti indicano pronto il piano b, anzi c come Enrico Costa (vista la ribadita indisponibilità di Guido Crosetto vincente nel sondaggio tra alcuni papabili a competitor di Chiamparino). L’ex ministro primo supporter dell’europarlamentare nell’asse cuneese, dovrebbe però fare i conti con la sua lunga permanenza (assai più che i pochi mesi addebitati come colpa a Claudia Porchietto dal vasto fronte interno a lei contrario) nel partito di Angelino Alfano, nonché la sua presenza in due governi di centrosinistra, prima con Matteo Renzi e poi Paolo Gentiloni.

A rendere meno teso il clima in casa azzurra non pare aver certo contribuito il cambio del coordinatore regionale. Al mite ma determinato (e sempre disposto a impiegare tempo per dirimere beghe interne ed esterne) Gilberto Pichetto è subentrato un marziano a Torino, come a molti del suo stesso partito sembra sempre più Paolo Zangrillo. Il deputato-paracadutato in testa di lista, fratello del medico personale di Silvio Berlusconi, agli occhi di qualcuno parrebbe addirittura attratto dall’idea di una sua candidatura, in caso, come si dice quando non si vede l’ora, il partito lo chiedesse. Nel frattempo lui ha chiesto ai consiglieri regionali di non disturbarlo troppo, e di interloquire con i suoi vice (Roberto Rosso, Diego Sozzani e Roberto Pella), visto il suo impegno in Parlamento. Forse non moriranno leghisti, ma anche vivere così non dev'essere un granché.

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