"In nome del rinnovamento fanno tornare il Pd indietro di dieci anni"
Stefano Rizzi 08:00 Lunedì 24 Dicembre 2018Valle, allevato nella nidiata di Morgando, spiega perché l'operazione che intende portare la coppia "cattocomunista" Furia-Canalis alla guida del partito piemontese è il tradimento dello spirito originario. Con i grandi vecchi che manovrano dietro le quinte
“Dieci anni fa il Pd era da costruire, oggi è da salvare. Riproporre lo schema del 2007 è come negare dieci anni di progresso, di cambiamenti”. La “fusione”, più o meno a freddo, dell’ala sinistra del partito piemontese con quella cattodem nel ticket Paolo Furia-Monica Canalis a molti non pare che la riproposizione di quel modello ormai consegnato alla storia, con i suoi meriti e i suoi limiti, che portò gli eredi del Pci e quelli della Dc a fondare un nuovo partito. Per alcuni un fardello pesante, per altri un’eredità da conservare e, magari, riproporre neppure sotto troppo mentite spoglie.
Daniele Valle, consigliere regionale, per un periodo candidato in pectore per la presidenza della Regione, troppo giovane per essere stato democristiano, ma in tempo per passare qualche anno nella Margherita e vivere la nascita del Pd, da quella nostalgia non è per nulla affetto. Anzi, è tra quelli che a quel supposto ritorno alle origini guarda con forte preoccupazione e con altrettanta decisione punta il dito sulla strana coppia che intende guidare il partito in Piemonte alleandosi contro il vincitore, sia pure con un assai modesto 40%, delle primarie, il senatore Mauro Marino, ma soprattutto indica coloro che per loro stessa ammissione sono i registi di questa operazione. E che certo non sono, diciamo, dei volti nuovi.
L’ex parlamentare e sottosegretario Gianfranco Morgando sul fronte della Canalis e due altri ex come Giusi La Ganga e Giorgio Ardito per Furia, continuano a parlare di rinnovamento e, invece, lei Valle li accusa di un ritorno al passato. Dica la verità, sarà stato colto di sorpresa dalle mosse di questi grandi vecchi.
“Per niente. Mi spiego meglio: non mi ha per nulla stupito quel che dice Morgando. Lui quello schema lo ha sempre teorizzato. Mi ricordo anche all’ultimo congresso della Margherita e in interviste più recenti come abbia sempre ribadito di essere per una federazione tra partiti e non per un partito nuovo. E quella era anche la piattaforma con cui si era presentato alle primarie dieci anni fa. Ma sono passati più di due lustri. E c’è una bella differenza: innanzitutto nel caso di queste primarie l’accordo non era annunciato e un conto è sottoporre la proposta al giudizio degli elettori e vincere, altro è fare come è stato fatto adesso”.
Lei è stato uno dei giovani allevati nel vivaio di Morgando, poi le vostre strade si sono divise quando l’ex parlamentare alle primarie per il Comune di Torino appoggiò Piero Fassino e lei si schierò con Davide Gariglio. Adesso lei sta con Marino e lui s’inventa la candidatura Canalis. Un tempo, quando c’era la Dc, si sarebbe detta una cosa normale tra correnti. Morgando, che nella Dc è cresciuto, adesso insieme a Stefano Lepri e ad altri porta a risuscitare i cattocomunisti. Appena possono si mettono insieme, le pensa così?
“Non posso non pensare a questi anni di Matteo Renzi e ignorare il fatto che è stato avversato dalla sinistra del partito, ma non di meno da quella dei popolari storici di cui Morgando è un esponente di rilievo”.
Vendetta, rivalsa?
“È fuori di dubbio che una parte di quel mondo popolare con Renzi si sentiva schiacciata: era difficile fare i cattodem quando il leader è uno scout. Anche quando ti costringe a posizioni non tue come l’adesione del Pd al Pse è dura reagire. Come fai a dirgli che è un pericoloso comunista quando è chiara la sua origine, quando ha le sue foto con Ciriaco De Mita? Renzi, per la sua storia. occupava uno spazio che era anche il loro, dei popolari”.
Insomma, una liberazione per i cattodem. Che alla prima occasione hanno cercato l’abbraccio con gli eredi del Pci, o comunque con quella sinistra che con l’ex premier e segretario ha ben poco da spartire, tant’è che si schiera con Nicola Zingaretti al congresso nazionale. Però, torniamo a casa vostra: non trova singolare che a parlare di rinnovamento, facendo pure leva sulla giovane età di Furia e Canalis, siano generali ufficialmente della riserva ma in realtà in servizio permanente effettivo?
“Il protagonismo nell’intestarsi e nello spiegare la scelta di questi giorni, da parte dei Morgando, dei La Ganga, così come degli Ardito dimostra che forse la chiave del rinnovamento non è proprio quella giusta. Però emerge anche un altro aspetto in questa vicenda”.
Non lo tenga per sé, dica.
“Che non è un caso che da Morgando a La Ganga, da Paola Bragantini ad Andrea Stara, per citare padri nobili e forti portatori di voti, l’altra volta fossero tutti per Gariglio e adesso hanno fatto scelte, ovviamente legittime, ma diverse”.
E lei che spiegazione ne dà?
“Forse si torna a dividersi su una visione di come costruire i prossimi dieci anni di questo partito. E senza l’onda renziana che allora pareva inarrestabile. I tempi cambiano. Adesso molti hanno perso la memoria, ma io mi ricordo bene la delusione diffusa rispetto agli anni di Bersani segretario, un partito ingessato e asfittico. Ecco, diciamo che non vedo nessun opportunismo in quei cambi di posizione, piuttosto un tornare a galla di visioni diverse, ma sicuramente vecchie”.
Valle, sia sincero. L’ha sorpresa il risultato dei due giovani, praticamente quasi suoi coetanei?
“Furia ha preso la stessa percentuale di Gianna Pentenero quattro anni fa, pur con la metà dei votanti e avendo grandi elettori in più. Lì si è mantenuta un’area politica importante. Nessuna sorpresa. C’è stata semmai con la Canalis. Il suo risultato un po’ lo si spiega con il fatto che la candidatura di Marino non ha avuto il tempo per maturare sufficientemente, ma anche con tutto il lavoro fatto dai personaggi che oggi nelle loro dichiarazioni confermano di essere gli architetti di un progetto nato ben prima del risultato delle urne, quel ritorno al passato che si vuol far passare per rinnovamento”.
Con queste premesse l’immagine che emerge del probabile ticket alla guida del partito in Piemonte è sovrastata da pesanti e importanti padrini politici. Un problema?
“Dipenderà da quanta indipendenza riusciranno ad avere, ma ancor prima dalle loro capacità di gestire il risultato. Vorranno davvero aprire a una conduzione unitaria, oppure sarà la amministrazione di una vittoria costruita a posteriori, a tavolino?”.
Marino ha rispedito al mittente la proposta di presiedere il partito, ha fatto bene?
“Benissimo. Quella non mi è sembrata e credo non possa essere l’offerta per guidare unitariamente il partito, semmai la via per mettere in un angolo chi ha preso più voti. Se non c’è il riconoscimento politico sul fatto che uno è arrivato primo, c’è più di qualcosa che non funziona”.
Lei spera ancora in una soluzione unitaria?
“Ovviamente sì. Auspico che con responsabilità tutti e tre sappiano trovare il modo di assicurare al Pd la massima unità. Era un'esigenza emersa con forza mesi fa che poi non si è riusciti a concretizzare nonostante la disponibilità del mio collega Raffaele Gallo a rinunciare alla candidatura facendo un passo indietro e alla proposta di Marino. Oggi quell’esigenza è, se possibile, ancora più forte”.
Insomma, il rinnovamento generazionale non la convince proprio?
“È evidente a tutti chi si è mosso dietro, chi ha condotto le trattative fino al giorno prima e chi ha continuato in quel ruolo anche dal giorno dopo. Con uno schema vecchio di dieci anni e applicato quando il Pd doveva nascere, non quando lo si doveva salvare. Se questo è il rinnovamento…”.