Piangeremo sul latte versato

La recente protesta degli allevatori sardi ha portato il vicepremier Salvini a esprimere la sua opinione sulla faccenda proponendo la solita soluzione statalista fatta di prezzi imposti, sovvenzioni e commissioni che dovrebbero elaborare proposte sensate. Perché nessun politico propone di ridurre tasse e burocrazia ai produttori, semplificandogli la vita in modo che stiano in piedi da soli senza aiuti statali che provengono dai soldi prelevati da altri cittadini? Perché togliere i soldi dai cittadini per darli ai produttori di latte ovino? Così i consumatori si vedono colpiti due volte: la prima perché con le loro tasse devono finanziare gli aiuti ai produttori di latte e una seconda volta quando vanno a comprare latte e derivati che sono costretti a pagare ad un prezzo più alto. Cornuti e mazziati. Non sarebbe più semplice abbassare le tasse sui carburanti e sull’energia elettrica in modo per esempio che costi meno fare il pieno al trattore o si riduca la bolletta per far funzionare i frigo per il latte? Ci possono essere varie difficoltà per i produttori, ma il principale nemico rimane lo stato.

Imporre dei prezzi statali vuol dire distruggere il funzionamento dell’economia generando scarsità in certi settori e sovrapproduzione in altri. I prezzi non sono quantità neutre, ma veicolano informazioni che servono ai produttori e ai consumatori ad orientare le loro scelte economiche. Se un prezzo sale significa che quel bene è fortemente richiesto e questo potrebbe spingere degli imprenditori ad entrare nel settore aumentandone la quantità a disposizione dei consumatori determinando un abbassamento del prezzo del bene. Dal lato del consumatore un rialzo del prezzo di un bene lo spinge a trovare altre soluzioni quali l’acquisto di un bene equivalente o simile o l’acquisto da un produttore più lontano, per esempio estero. Tutte azioni che spingono il prezzo verso il basso e che fanno capire ai produttori che il prezzo è alto.

Si hanno esempi sia nell’attualità che nel passato del fallimento delle politiche dei prezzi imposti. Si va dal Venezuela di Chavez e Maduro che sono riusciti a trasformare una nazione relativamente ricca in un paese povero in cui si muore di fame e non si trovano medicine al classico esempio dell’Unione Sovietica, fino all’impero romano di Diocleziano che con le sua politica del calmiere bloccò commerci e produzione  determinando un crollo della produzione agricola, all’epoca principale e quasi unico settore economico, accelerando la fuga dalle campagne la cui coltivazione diventava non più conveniente.

Immaginate che il governo decida di fissare ad un euro il prezzo al chilo del pane: trovereste ancora il pane in commercio? Immagino proprio di no, perché nessun produttore venderebbe ad un prezzo che non copre i costi. Da un giorno all’altro sparirebbe il pane dal commercio, chiuderebbero tutte le panetterie, i produttori industriali nelle migliori ipotesi licenzierebbero un po’ di personale continuando a produrre altri prodotti da forno o peggio, chiuderebbero anche loro. In un colpo solo sparirebbe il pane e aumenterebbe la disoccupazione. Quello che è successo in Venezuela.

Se il prezzo del latte ovino è crollato un motivo ci sarà. Forse un eccesso di produzione? E questa sovrabbondanza sarà forse dovuta agli incentivi dati al settore?

Gli allevatori a quanto pare lamentano l’arrivo di latte estero a basso prezzo. Se all’estero riescono a produrre a costi più bassi perché non farlo anche in Italia? Alla fine i costi che incidono sono i soliti che dipendono dall’esosità dello stato italiano. Con meno tasse e meno burocrazia anche il latte italiano potrebbe costare meno. I produttori sardi perché non si riuniscono in consorzio cercando di fare massa per strappare un prezzo migliore e stabilire delle quote di produzione annuali per mantenere un certo prezzo? O ancora meglio, una volta riuniti in consorzio, occuparsi della trasformazione del latte e in questo modo controllare la filiera avendo maggiori utili? Le soluzioni ci sono e non si possono scaricare le proprie inefficienze e l’incapacità di modernizzarsi adeguandosi al mercato sui poveri cittadini che pagano le tasse. Infine se il pecorino è scarsamente apprezzato dal consumatore è inevitabile contrarre la produzione cercando di trovare un equilibrio fra quanto prodotto e quanto consumato. Seguendo la logica degli allevatori, chiunque potrebbe chiedere una sovvenzione per un motivo qualsiasi, ma ovviamente i soldi prima o poi finiscono.

print_icon