OPERE & OMISSIONI

La Tav va avanti, il resto è fuffa

Al via le procedure di gara per i tre lotti del tunnel di base. Tutto secondo le procedure previste. A settembre i capitolati di spesa. Non bastano tweet, conferenze stampa e inganni lessicali per bloccare l'opera. Anche la lettera di Conte non è un atto ufficiale

In barba alle mistificazioni lessicali l’iter delle gare procede e la Tav va avanti. E se come facevano nel Medioevo certi frati che nei giorni di precetto trasformavano la carne in pesce con una semplice formula (“ego te baptizo piscem”), per il Governo gialloverde è vietato chiamarli bandi, la decisione assunta oggi dalla stazione appaltante, il soggetto promotore incaricato di realizzare la nuova Torino-Lione, è né più né meno di quanto previsto. Il consiglio d'amministrazione di Telt, che si è svolto in videoconferenza tra Roma e Parigi, ha approvato il via libera alla pubblicazione degli avis de marché, riguardanti i lotti francesi del tunnel di base della Torino-Lione. La decisione è stata presa all’unanimità dai 10 membri del Cda aventi diritto di voto, tra cui il rappresentante dell’Unione Europea.

Appalti per un valore pari a 2,3 miliardi di euro che riguardano i lavori di scavo del tunnel di base lungo 57.5 km e a due canne. Fanno parte di un appalto unico, ma diviso in tre lotti, che era “congelato” dal luglio scorso. Sono la parte più consistente dell’insieme di 81 lotti, pari a 5,5 miliardi di euro e previsti in 12 cantieri operativi, lanciato da Telt nel maggio scorso con un roadshow di presentazione alle imprese tra Italia e Francia. Era stato ancora fermato il 19 febbraio scorso, quando il cda di Telt, riunito a Parigi, ha deciso all’unanimità “un breve rinvio, alla luce della situazione e a seguito dei contatti con i Governi”. 

L’avvio degli “avis de marchés” costituisce la prima fase delle procedure, della durata di sei mesi, consentendo di rispettare il termine del 31 marzo per la presentazione alla Commissione europea del finanziamento per il 2019, pena l’applicazione di una riduzione di 300 milioni di euro sul totale degli 813 milioni della prima tranche di contributi comunitari. Solo in un secondo momento, a settembre, le aziende prescelte per l’opera potranno presentare l’offerta, quando saranno autorizzati i capitolati d’appalto. Quindi, a dispetto della pantomima inscenata dal Governo nulla è cambiato. Anche in tutti i precedenti avvisi della società pubblica italo-francese, nella prima fase è solo indicato l’oggetto generale dei lavori e i requisiti per partecipare, ed è solo richiesto alle imprese di manifestare l’interesse alla partecipazione, con una scadenza. Dopo la verifica dei requisiti Telt invia le lettere di invito a fare ‘'offerta, con allegati i capitolati. È successa la stessa cosa per i precedenti bandi di lavori 

Persino l’avvallo preventivo chiesto dal premier Giuseppe Conte nella sua lettera di sabato scorso ai vertici di Telt in realtà era già stata espressamente garantita dal direttore generale della società Mario Virano, in aggiunta alla clausola di dissolvenza prevista dal codice degli appalti francese. Questa deve essere invocata prima dell’invio dei capitolati, i documenti che Telt invia alle imprese ammesse a partecipare alla gara. Quando scadranno i sei mesi, quindi, Telt chiederà ai due governi, quello italiano e quello francese, se intendono andare avanti con i lavori. Insomma, la Tav non è affatto stata bloccata e l’iter delle gare procede.

Del resto l’eventuale stop all’opera non può avvenire con sparate via social, conferenze stampa o tweet. E neppure la lettera del Presidente del Consiglio può considerarsi un atto ufficiale. Il progetto della Tav, finanziato per il 25% dalla Francia, per il 35% dall’Italia e per il 40% dall’Unione Europea, è disciplinato da un trattato internazionale tra Francia e Italia ratificato dal Parlamento italiano nel 2017. Se il governo decidesse di fare marcia indietro, per non realizzare la Tav bisognerebbe modificare il trattato con un voto del Parlamento. Ma anche nel caso in cui Camera e Senato votassero a favore dello stop, non sarà possibile un’uscita unilaterale: per bloccare la Tav anche la Francia dovrebbe fare lo stesso. Difficile, però che Parigi rinunci all’opera. A questo punto la questione verrebbe risolta da un arbitrato internazionale, secondo quanto prevede la Convenzione di Vienna del 1969. E anche qui non sarebbe cosa semplice recedere. La “Relazione tecnico-giuridica” dell’11 febbraio 2019 chiesta dal ministero delle Infrastrutture all’Avvocato dello Stato afferma: “I motivi che farebbero venir meno i contratti nei confronti dei terzi, in caso di stop unilaterale, potrebbero non integrare il contenuto di un nuovo motivo di interesse generale (ai sensi del diritto francese) bensì un fatto illecito idoneo a dar luogo a pretese risarcitorie nei confronti del Promotore e, in via di rivalsa, nei confronti dello Stato italiano”. E il conto per l’Italia a questo sarebbe piuttosto salato: 4 miliardi, ovvero molto di più di quanto occorre per realizzarla.

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