FEDERALISMO

"Regione più autonoma, Piemonte più competitivo"

Con maggiori competenze si potranno migliorare servizi, impiegare meglio le risorse e attivare politiche di sviluppo. Un tema che dovrebbe essere comune a tutti gli schieramenti. La "secessione dei ricchi" è una fake news. Parla il costituzionalista Cavino

Partito in ritardo prendendo la rincorsa per recuperare terreno su Veneto, Lombardia ed Emilia-Romagna, il Piemonte è la prima Regione ad andare al voto con il dossier aperto sull’autonomia differenziata. Utile strumento per migliorare servizi, impiegare meglio le risorse e procedere verso lo sviluppo per chi sostiene la necessità di utilizzare ciò che prevede l’articolo 116 della Costituzione. Secessione delle regioni ricche a scapito di quelle più in difficolta, questa la tesi del fronte dei detrattori assai forte al Sud. Anche per questo sarà interessante scoprire quanto, con che forza e con quali differenze questo tema figurerà nella campagna elettorale, nel centrodestra (con la Lega che nella rivendicazione di maggiore autonomia ha storicamente uno dei suoi cardini nel Nord), così come nel centrosinistra che governa una delle tre regione capofila, l’Emilia-Romagna, e che con la giunta di Sergio Chiamparino ha imboccato la stessa direzione intrapresa dal suo collega Stefano Bonaccini.

Quella che a molti è apparsa, oggettivamente, una rincorsa in realtà è la ripresa in mano di un tema che proprio il Piemonte, anni fa, aveva già affrontato avviando un procedimento poi interrotto. “All’autonomia differenziata la nostra Regione ci aveva già pensato quando la giunta di Mercedes Bresso aveva avviato un progetto di questo tipo. L’’idea di sfruttare lo strumento dell’articolo 116 c’era già stata. Me ne ero occupato per quanto concerneva la legislazione universitaria”, ricorda Massimo Cavino, costituzionalista, ordinario di Istituzioni di Diritto Pubblico all’Università del Piemonte Orientale.

E poi cos’è successo, professor Cavino? Perché si è interrotto quel percorso?
“Credo sia accaduto quel che abbiamo visto spesso in passato, ovvero progetti portati avanti e poi abbandonati con il cambio di colore politico. Con un qualcosa in più in questo caso: la classe politica italiana ha avuto e speriamo non abbia più una certa miopia, per cui si riteneva di potersi occupare delle grandi aree del Nord solo se tutte le regioni si coloravano politicamente nello stesso modo. Gli stessi progetti della giunta Bresso vennero fatti quando la Liguria era governata dal centrosinistra. Si dava per scontato che senza omogeneità politica non fosse possibile realizzare un progetto di più ampio respiro”.

Non è così? Lei ritiene che l’uniformità di posizionamento politico non sia indispensabile per questa riforma?
“Non tutte le tre regioni più avanti sono amministrate dallo stesso colore, per cui questo già dovrebbe dirci che l’orientamento politico ha una sua importanza, ma relativa. Ho l’impressione che oggi, anche a causa della crisi economica che mette d’accordo tutti, le Regioni che chiedono l’autonomia differenziata lo fanno perché ritengono, a mio avviso a ragione, che sia uno strumento per poter essere competitive con le grandi regioni del Nord Europa”.

Quindi ha fatto bene l’amministrazione Chiamparino ad accelerare, sia pure dopo un po’ di ritardo, sulla maggiore autonomia?
“A mio avviso assolutamente sì. Regioni come il Piemonte possono trarre benefici da un’autonomia differenziata perché hanno anche la struttura politica e territoriale per potersi avvantaggiare. E poi credo che questo processo possa preludere ad altro”.

Ovvero?
Ho l’impressione che ci sia il tentativo di costruire nei fatti una macroregione. L’autonomia differenziata delle principali regioni del Nord potrebbe diventare di fatto l’occasione per dare una velocità diversa al Nord. In fondo già anni fa si parlava, per esempio, di Limonte”.

A questo punto chi già grida al rischio secessione, leverà gli scudi.
“Sbagliando. Non esiste alcun rischio di attentare all’unità nazionale, così come la nostra Costituzione tutela le regioni. Questa storia della secessione dei ricchi è una fake news. Per le altre regioni ci sarebbe sempre la garanzia che viene assicurata dall’art 119 della Carta sul piano finanziario, per cui molte delle critiche verso questi progetti sono in larga misura ideologiche”.

Bisognerebbe convincere innanzitutto i Cinquestelle che sulla questione continuano a tirare il freno a mano nelle materie di competenza dei loro ministri.
“Non ci si deve stupire, si sta verificando quello che appariva già come un dato evidente il giorno dopo le elezioni: il M5s pur essendo un partito nazionale è quello portatore delle istanze soprattutto del Sud e, analogamente la Lega, anche se ha tolto il Nord dal suo nome ed è partito più nazionale e meno territoriale di prima, lo è per il settentrione. Quindi inevitabilmente considerando che siamo in una campagna elettorale continua c’è la possibilità che il partito che prende maggiormente i suoi voti al Sud possa cavalcare una lettura dell’autonomia differenziata che è abbastanza diffusa in Meridione, anche presso molti miei colleghi, che descrive questo strumento come una minaccia all’unità nazionale”.

Che lei ribadisce non esiste.
“Esatto, sul tema ha scritto recentemente un ottimo e chiaro articolo Lorenzo Cuocolo (costituzionalista e docente alla Bocconi, ndr) in cui chiarisce come questo percorso sia compatibile col nostro impianto costituzionale, non leda la dignità del Parlamento, tantomeno metta in pericolo l’autonomia delle altre regioni”.

Oltre ad aver avviato l’iter dopo le altre tre grandi regioni del Nord, il Piemonte ha stilato una lista di materie piuttosto contenuta. Una cautela?
“Non è il numero delle materie a fare la differenza. Quelle fondamentali sono poche. Parliamo soprattutto di sanità e quindi inevitabilmente di bilancio. E non è irrilevante il fatto che regioni come Veneto, Lombardia ed Emilia-Romagna, che hanno avanzato la richiesta di autonomia differenziata, guarda caso sono tutte delle eccellenze rispetto alla sanità. Quindi più che al numero delle materie, bisogna guardare quali sono e magari si scopre che sono materie in cui le regioni che chiedono maggiore autonomia sono già una punta avanzata. Quindi si tratterebbe di consolidare un vantaggio, piuttosto che creare sperequazioni tra le regioni”.

Insomma, professore, lei è convinto che per il Piemonte più autonomia significherà più vantaggi?
“Sì. Dopodiché non bisogna mai dare tutti i meriti o le colpe al guanto, molto dipende dalla mano che c’è dentro. L’autonomia differenziata deve essere poi governata da una classe dirigente capace di usarla”.

È ottimista su questo?
“Io confido nel fatto che una regione come la nostra abbia tutte le qualità per poter utilizzare nel migliore dei modi questo strumento. E credo anche sia un tema piuttosto trasversale, né di destra, né di sinistra, quindi mi auguro che quale che sia la giunta che governerà la Regione il percorso continui”.

Il rischio di volerci mettere su il cappello, in campagna elettorale, però c’è.
“La questione di fondo dipende da come vogliono impostare la campagna elettorale le forze politiche. C’è da augurarsi che quello sull’autonomia non diventi un tema sul quale scontrarsi. Sarebbe bello che, pur con qualche differenza, venisse introdotto nei programmi di tutte le forze politiche senza farne un mezzo per distinguersi, mettendo a rischio soluzioni di buon senso”.

Verso una maggiore autonomia, ma la regione rimane ancora alle prese con quella divisione che a tratti appare accentuarsi ulteriormente tra il cosiddetto Piemonte 1 e il Piemonte 2, per non dire dei tanti Piemonti che si manifestano sul piano economico e sociale nel territorio. Ritiene sia un problema reale?
“Assolutamente sì.Quello dei Piemonti è una grande questione. La divisione è nei fatti: l’area metropolitana di Torino ha gli stessi abitanti del resto della regione, per cui è normale che ci sia questa differenza data dalla demografia. Che ci siano velocità differenti è vero, ma il vero tema è un altro: capire che siamo in una fase delicata per quanto riguarda il rapporto tra le grandi aree metropolitana e ciò che non lo è. Novara è a 100 chilometri da Torino e 40 da Milano, geograficamente in mezzo alle due città metropolitane più importanti d’Italia lasciando da parte Roma Capitale. La soluzione sta, soprattutto, nel dare risposte a esigenze che sono oggettivamente diverse. Se non ci si rende conto di questo, e penso alla recente vicenda del Verbano-Cusio-Ossola, si rischia di trasformare le aree non metropolitane in periferie regionali”.

Uno scenario tutt’altro che tranquillizzante, professor Cavino.
“Infatti. Non cercare e fornire quelle risposte sarebbe un grave errore perché determinerebbe una perdita di ricchezza non solo per quelle aree, ma anche per quelle metropolitane”. 

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