Colpire i ricchi, una scemenza

Ai tanti ridistributori delle ricchezze altrui, che siano di sinistra, centro o destra sfuggono le più elementari regole dell’economia. Alcuni sono mossi da presunte ingiustizie, mentre tanti, anche se non lo ammetteranno mai, sono mossi dall’invidia per chi ha avuto più successo. Spesso, nello stesso individuo convivono le due tendenze in un inestricabile groviglio, che impedisce loro di capire che la spinta principale per le proprie azioni è l’invidia e non la sete di giustizia. Questo accecamento emotivo li priva di qualsiasi razionalità. In alcuni prevale la malafede e dietro roboanti parole sulla giustizia sociale si nasconde la ferrea volontà di colpire chi ha avuto più successo e in qualche modo sublimare la propria inadeguatezza criminalizzandoli.

In questo colpire i ricchi o in più generale gli uomini di successo convergono varie correnti di pensiero, da quelle provenienti dall’ovvio mondo di sinistra con tutte le sue declinazioni comuniste, socialiste, ecologiste ecc. al mondo cristiano ove un’interpretazione superficiale dei testi evangelici fa riemergere ciclicamente le idee del pauperismo, fino a una cosiddetta destra che vede nell’uomo d’affari il male assoluto, come se senza produzione ci potesse essere una qualsivoglia civiltà.

In questo variegato mondo proposta ricorrente è la redistribuzione di reddito e ricchezza al fine di sanare le “ingiustizie”. Il problema è la totale mancanza di conoscenza delle leggi economiche di chi fa queste proposte. L’errore principale è pensare che ricchezza e reddito siano quantità statiche che si possano manipolare a piacere senza che vi sia una variazione del loro ammontare. Un esempio recente di simile errore è la quota 100, che oltre ai sottesi motivi elettorali, avrebbe avuto lo scopo di liberare dei posti di lavoro per i giovani. L’idea errata di questo ragionamento è che i posti di lavoro siano in numero fisso e che liberandone alcuni verrebbero occupati da un ugual numero di nuovi lavoratori. La verità è che le organizzazioni aziendali sono strutture dinamiche che si adeguano alle esigenze di mercato e in più alcune chiudono mentre altre aprono, variando continuamente il numero degli occupati. E ciò è vero per tutte le grandezze economiche. In questo caso l’errore è molto grossolano perché sono ben note statistiche che evidenziano che in nessun caso si ha una sostituzione uno ad uno fra pensionati e nuovi occupati. A ciò si aggiunge la malafede: se vanno in pensione i dipendenti pubblici e non si pensa di fare concorsi per nuove assunzioni come si può sperare in una sostituzione uno ad uno di un pensionato con un nuovo lavoratore? Nel caso dei pensionati molte aziende ne approfittano per alleggerire il numero di dipendenti senza ricorrere a licenziamenti.

Altro caso è chi vorrebbe proibire il doppio lavoro come se chi lo fa stesse rubando qualcosa. Invece di premiare la buona volontà e la determinazione degli individui che fanno il doppio lavoro, li si vuole punire. Anche in questo caso non è scontato che proibendo il doppio lavoro la quantità di lavoro “liberato” venga svolto da un disoccupato: può semplicemente non essere più svolto con una riduzione del reddito complessivo prodotto. Per svolgere un lavoro è necessario avere determinate competenze e la fiducia di chi ti affida il compito. Proibendo ad un individuo di svolgere un determinato lavoro non è così scontato trovarne un altro con le stesse competenze e che riscuota la fiducia del datore di lavoro. Non esiste una quantità fissa di lavoro che si possa distribuire in maniera asettica in modo che non esista chi ne ha tanto e chi niente. In un dato momento una certa distribuzione del lavoro è funzionale alle richieste di mercato, alle competenze dei lavoratori, ai vari vincoli legislativi e alla conoscenza posseduta. È una quantità dinamica che solo chi non ha competenze economiche può pensare fissa, pensando per esempio di accorciare l’orario di lavoro di un’ora affinché si creino nuovi posti di lavoro. Pensate alle piccole aziende con pochi dipendenti: anche se si togliessero un’ora di lavoro alla settimana non si creerebbe un nuovo posto di lavoro e continuerebbero a lavorare come prima con al più qualche ora di straordinario.

Le stesse considerazioni valgono per ricchezza e reddito. Una certa distribuzione di ricchezza è funzionale ad una certa quantità di reddito prodotta. Variando dall’alto la distribuzione della ricchezza, per esempio con una forte patrimoniale, non è scontato che il reddito annuo prodotto in una nazione rimanga costante. Una prima banale considerazione è che possa venire a mancare il capitale per gli investimenti e pertanto si riduca la produzione con conseguente impoverimento generale con le più gravi conseguenze proprio per i poveri che si vorrebbe aiutare. Una volta distribuita la ricchezza non è detto che si continui a produrre lo stesso reddito precedente, anzi è molto probabile che si riduca. Una certa distribuzione di ricchezza produce un certo reddito, forzando una diversa distribuzione ne consegue un diverso reddito, molto probabilmente più basso, dato che le ricchezze verrebbero espropriate con la forza e le persone si troverebbero in una sicura situazione di disagio e con i loro piani e obiettivi stravolti. La classica situazione in cui si manda tutto al diavolo e si smette di impegnarsi.

Alcune concentrazione di ricchezze sono funzionali ad un certo tipo di produzione che richiedono un ingente impiego di capitale. Si pensi ad industrie come quelle farmaceutiche in cui un brevetto per un nuovo farmaco si ottiene forse dopo anni e molte volte dagli investimenti fatti non si ottengono risultati. All’industria aeronautica, a quella dell’auto e così via. È molto difficile immaginare la costruzione di un aereo nel garage di casa. Altro esempio sono le assicurazioni che gestendo rischi devono avere un certo volume d’affari per distribuire i rischi e non rischiare il fallimento.

Stessi ragionamenti si possono applicare se si volesse distribuire il reddito in maniera più equa. In realtà una redistribuzione già avviene con le attuali aliquote IRPEF progressive, con l’assurdità che chi guadagna 1400/1500 euro mensili sfiora già l’aliquota del 38%! Con un reddito medio basso si paga già un’aliquota elevatissima. Per esempio un tetto al reddito annuo non farebbe altro che scoraggiare i più intraprendenti a mettersi in gioco con riduzione complessiva del reddito prodotto. Anche in questo caso a pagarne le conseguenze maggiori sarebbero proprio i poveri che si vorrebbe aiutare, perché una riduzione del reddito annuo prodotto significa meno consumi, meno produzione e meno lavoro per tutti.

Se i tanti che vogliono distribuire ricchezze e reddito altrui, capissero  almeno che le grandezze economiche non sono statiche, ma bensì dinamiche e che ogni intervento ha delle conseguenze, probabilmente smetterebbero di fare proposte senza senso.

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