CAVOLETTI DI BRUXELLES

Meno Piemonte in Europa

In tutti i partiti prevalgono i candidati lombardi e persino liguri. In Forza Italia un drappello di donne per tirare la volata a Berlusconi e la Lega punta sul braccio organizzativo di Salvini. Nel Pd la difficile impresa di Bresso. FdI su Bertot, con l'incognita Alberoni

Guardare all’Europa. Non c’è nessuno, da destra a sinistra, in Piemonte che non esorti a farlo: per le risorse ancora copiose da utilizzare meglio, per norme e provvedimenti in grado di segnare il destino di produzioni e prodotti dell’economia nostrana. Eppure, posando lo sguardo sulle liste (sia pure alcune ancora in via di definizione) sembra profilarsi il rischio di una regione (la seconda per dimensioni e popolazione della circoscrizione Nord-Ovest) cui l’Europa toccherà guardarla più da lontano rispetto all’ultimo quinquennio e ad alcuni dei territori con cui condivide elettori e candidati. Proprio questi ultimi con il peso attribuito da parte di più o meno tutte le forze politiche rischiano di penalizzare il Piemonte. E non solo rispetto alla Lombardia, che per numero di elettori è oggettivamente più forte, ma in alcuni casi persino nei confronti della Liguria, per non dire quanto figure nazionali (oltre ai leader per cui vale quasi sempre la prassi della rinuncia con conseguenti ripescaggi) potranno frenare legittime ambizioni dei candidati autoctoni.

I primi a completare le liste, approvate l’altro giorno in Direzione nazionale, sono stati quelli del Pd e già lì si è visto come la coppia piemontese uscente, Mercedes Bresso e Daniele Viotti, non sia stata valorizzata più di tanto (per usare un eufemismo) dal partito ora nelle mani di Nicola Zingaretti: la prima è stata piazzata al sesto posto, mentre il secondo giocando forse su un ordine alfabetico peraltro non osservato in quasi tutto l’elenco è finito a fare il fanalino di coda. Segnali dal Nazareno zingarettiano? Non improbabile. Come un segnale di distensione, capace di evitare un voto contrario mitigando quello dei giachettiani in astensione, può essere letta la terza posizione assegnata all’ex viceministro Enrico Morando. Il politico alessandrino vanta un cursus honorum, incominciato nel Pci, di tutto rispetto (compresi i sempre citati apprezzamenti a lui riservati da Giulio Andreotti. “Quando parla, smetto di scrivere e ascolto con tutte e due le orecchie” disse dell’allora giovane migliorista il Divo Giulio, ma è assai più noto per le raffinate analisi economiche e i suoi apporti al programma di Walter Veltroni (“Ci serve e rapidamente un programma forte, chiaro, conciso”, disse Uolter e dopo venti giorni Morando glielo aveva scodellato) e poi di Matteo Renzi che non per essere un mister-voti. Al suo esordio parlamentare (sempre a Palazzo Madama per tutte e cinque le legislature) fu sconfitto nel collegio alessandrino dall’avversario del Pdl, ma al Senato arrivò comunque grazie al recupero proporzionale. Nel ’96 i voti per battere il centrodestra li prende, ma nel 2001 torna a Palazzo Madama di nuovo con i resti dopo essere stato sconfitto dalla leghista (nella Casa delle Libertà) Rossana Boldi, attuale parlamentare. Le ultime due elezioni, nel 2006 e 2008, le vince da capolista, ma in Veneto. Le preferenze per approdare a Strasburgo sono una roba tosta, anche per questo i morandiani sono partiti lancia in resta con telefonate e messaggi neppure un’ora dopo l’ufficializzazione della lista. Basterà?

E sarà efficiente la macchina da guerra perennemente in moto della Bresso che se può contare sul suo profilo europeo e una conoscenza non comune dei dossier comunitari, certo non ha potuto contare su quelle primissime posizioni in lista che avrebbero dato un segnale, invece rimasto piuttosto confuso. Non improbabile un ticket intergenerazionale dell’ex zarina con il trentatreenne attuale europarlamentare spezzino Brando Benifei, uno dei favoriti.

E a proposito di favoriti, chiarissima la scelta di Matteo Salvini che ai suoi in Piemonte ha spiegato chiaramente che è sufficiente la nascita in quel di Domodossola di Alessandro Panza per concentrare i voti piemontesi sul responsabile organizzativo federale del Carroccio e mandare lui, insieme a una presumibile folta pattuglia lombardo-ligure, in Europa. Non è un mistero che la capogruppo uscente in Consiglio regionale Gianna Gancia, come perfidamente sussurrato da un importante dirigente del partito, “i voti dovrà andarseli a cercare lei”, ovvero non le arriverà quel supporto che avrà invece l’ossolano di nascita e lombardo d’adozione. Anche questo un segnale, da via Bellerio stavolta, che fa pensare circa le scelte dei vertici dei partiti in merito a una regione a rischio d’essere serbatoio di voti più che espressione di suoi candidati.

Quello di Forza Italia, vincitore cinque anni fa con una considerevole quantità di preferenze, adesso corre verso la poltrona di governatore. E, pur essendo ancora da completare, la lista degli azzurri non sembra mostrare un altro Alberto Cirio. Bisogna trainare Silvio Berlusconi e il ruolo di gregari è affidato alle donne. Ieri hanno firmato dal notaio l’accettazione di candidatura l’attuale deputata Daniela Ruffino e le sindache di Orbassano, Cinzia Bosso, e di Carmagnola, Ivana Gaveglio. Una disponibilità per puro spirito di servizio, giacché con il calo dei consensi e la concorrenza degli uscenti è pressoché certo che il Piemonte azzurro sarà privo di una propria rappresentanza nel prossimo emiciclo di Bruxelles.

Ancora più a destra, Fratelli d’Italia ha deciso di concentrare tutte le energie elettorali piemontesi su Fabrizio Bertot. Strategia, sulla carta, che offre maggiori possibilità all’ex sindaco di Rivarolo Canavese e già con un’esperienza da europarlamentare, sempre che i votanti di Giorgia Meloni nella regione del suo gigante buono Guido Crosetto marcino compatti sul nome di Bertot, in una lista dove ieri la leader dei Fratelli ha annunciato ci sarà, appena dopo di lei nel Nord-Ovest, il sociologo e scrittore Francesco Alberoni.

Annuncio annullato, invece quello si attendeva per oggi, da parte del vicepremier Luigi Di Maio a Torino per la presentazione della Casa delle tecnologie emergenti, ovvero l’occasione che pareva colta al volo per mettere il sigillo sulla candidatura dell'assessore comunale Paola Pisano. Non se ne farà niente: la donna della giunta di Chiara Appendino, la cui strada verso Bruxelles ipotizzata dai vertici del movimento era stata a dir poco maldigerita da gran parte del gruppo consiliare pentastellato a Palazzo di Città ferocemente contrario, non sarà in lista. Una notizia che certo non spiacerà  all’eurodeputata uscente Tiziana Beghin, che avrebbe rischiato di dover dividere i voti, con la non remota eventualità di favorire altri candidati, di altre regioni.

Ripetere la “delegazione” piemontese di cinque anni fa – quando oltre a Bresso, Viotti, Cirio e Beghin arrivarono a Strasburgo anche i leghisti Gianluca Buonanno (tragicamente scomparso solo due anni dopo) e Mario Borghezio, anche se quest’ultimo, torinese, venne eletto nella circoscrizione Centro – appare tutt’altro che impresa semplice. E guardare l’Europa, più da lontano, quello sì un rischio concreto per il Piemonte.

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