Sith ad alta velocità

Ogni qualvolta la televisione ripropone la saga di “Star Wars” non riesco a sottrarmi da un’approfondita riflessione sulle vicende politiche nostrane e, soprattutto, sul futuro della Democrazia occidentale. La serie ideata da George Lucas, campione di incassi nelle sale cinematografiche, è intrisa di valori religiosi orientali e riferimenti sociali.

L’eterna lotta tra Sith (il lato oscuro della Forza) e Cavalieri Jedi (il Bene) ha come cornice la crisi istituzionale e rappresentativa della Repubblica galattica (una galassia “Lontana lontana”). Il governo dell’intero sistema stellare, creato da Lucas, è infatti a un passo dal trasformarsi in impero dittatoriale, e il passaggio verso l’autoritarismo è stato reso possibile da complotti congegnati ad arte. Ai conflitti planetari indotti dall’esecutivo si affiancano le parallele richieste rivolte al Senato di concessione di poteri speciali in capo al Cancelliere: miscela perfetta per creare l’autoritarismo in maniera indolore.

La grande avventura, avente per protagonista i ribelli e le truppe governative, apre necessariamente a considerazioni attinenti l’attualità. Spunti di ragionamenti così intensi da non poter ritenere casuale il parallelismo proposto da autori e sceneggiatori di Guerre Stellari, tra il declino della forma parlamentare galattica sui cui vigilano gli Jedi, e le forme di rappresentanza democratica del nostro Continente.

I Sith e gli Jedi sono due aspetti inconciliabili di un’unica religione comune, mistica e dominata dalla Forza. Una grande base ideologica è il ceppo da cui si sono diramate le due parti in perenne antagonismo. Ideale spaccato di netto grazie a una visione nazionalista incentrata sull’uomo forte al comando (visione Sith-Fascista) in irriducibile dissenso alla volontà di mantenere una convivenza pacifica e prosperosa tra i diversi popoli ed etnie che vivono nella galassia (Jedi-Internazionalismo solidale).

Lo scontro senza quartiere tra le due forze “politiche” avviene quasi esclusivamente all’interno dei palazzi di potere (il Senato, lo studio del Cancelliere e il Tempio Jedi) e di seguito sui campi di battaglia. La saga cinematografica non dedica però cenno alcuno al cosiddetto conflitto sociale: il popolo tace, schiacciato dalla guerra del Jedi contro il Sith, soffrendo nella miseria e a volte nella schiavitù. I cittadini di questa immaginaria galassia raramente alzano la testa (accade timidamente solamente negli episodi dell’ultimissima trilogia) poiché torchiati da una pesante quotidianità. La guerra stessa è combattuta da droidi e cloni (esseri letteralmente coltivati per indossare la divisa e imbracciare il fucile), ossia “professionisti” addestrati allo scopo.

“È così che muore la Libertà: sotto scroscianti applausi”: parole lapidarie pronunciate dalla Senatrice Padme Amidala (alias l’attrice Natalie Portman) nell’attimo in cui il Cancelliere della Repubblica assume i poteri speciali assegnatigli dall’assemblea parlamentare. Un vero e proprio golpe autoritario giustificato da un conflitto stellare costruito a tavolino, e con successo, dall’abile premier.

La nostra Libertà muore invece tra applausi televisivi che seguono a interviste istiganti la paura. Essa cade nel clamore generato da fake news costruite da abili manipolatori dell’opinione pubblica, soffoca sotto le emozioni artificiali generate da programmi spazzatura ma anche nel consenso acritico verso coloro che invocano l’intramontabile voglia di sicurezza (il controllo utopistico su ogni cosa).

Chiudere i porti e sostituirsi ai magistrati tramite nuove leggi penali sulla legittima difesa sono esempi di come si procede per affidare poteri speciali al leader del momento. Nello stesso modo si lascia la Libertà alla deriva quando lo scontro politico diventa esclusivamente salottiero (di palazzo).

La Destra e la Sinistra dialogano nei talk show plasmando di tanto tanto qualche strumentalizzazione sui territori, al fine di dimostrare il proprio radicamento nella società. Le strade dei quartieri vengono infatti sovente abbandonate a se stesse, e la classe politica si sottrae totalmente dal confronto con le componenti più deboli della comunità. Le conseguenze si riassumono in un popolo (mi si perdoni l’uso di questo vetusto vocabolo) oramai lontano dai palazzi della politica, nonché profondamente deluso dai propri rappresentanti.

Agli occhi dei cittadini la Politica prende le sembianze di un lavoro privilegiato riservato a pochi figli d’arte (o di “papà”), mentre il teatro dello scontro ideale (quest’ultimo sempre più flebile) tra Destra e Sinistra si trasforma in una contrapposizione tra élite agiate.

In estrema sintesi la res publica mostra un governo gestito da gruppi chiusi, composti da individui benestanti (gli unici in grado di affrontare campagne elettorali dagli enormi costi): candidati quindi molto distanti dalle cosiddette classi subalterne.

La campagna elettorale europea e regionale, impegnata a muovere i suoi primi passi, dimostra più che mai la fragilità del sistema istituzionale. Una nobiltà politica, ricca e dai manifesti giganti riproducenti slogan banali e volti sorridenti (ma non troppo), è scesa in campo con ampio anticipo per comprimere letteralmente a terra gli annichiliti e disperati elettori.  Attualmente l’enfasi preelettorale è data dal “Sì Tav” riprodotto a caratteri cubitali dalla compagine che fa capo a Sergio Chiamparino, e dallo slogan “Un’altra velocità del Piemonte” stampato sui manifesti del suo rivale Alberto Cirio.

Agli occhi del “popolo” il programma elettorale dei due principali contendenti alla carica di presidente della Regione Piemonte non sembra presentare grosse differenze, ma denota una spiacevole assenza di reale contrapposizione. Un clima edulcorato, non reso incandescente neppure dalle bandire europee che le madamine hanno invitato a esporre sui balconi delle abitazioni urbane. Uno sventolio blu a stelle oro del tutto assente nelle periferie cittadine e presente solo (seppure sporadicamente) sulle facciate di alcuni edifici “blasonati” del centro città.

Le bandiere che garriscono al vento evidenziano la debolezza di quei politici, e presunti tali seppur in erba, convinti di poter rimediare agli errori compiuti dalle commissioni di Bruxelles (in un delirio neoliberista) affidandosi alla retorica dei gesti: l’autodenuncia di un’incapacità conclamata di riformare l’istituzione dall’interno e, al contempo, il semaforo verde per coloro che vogliono radere al suolo la Comunità Europea. Ancora una volta il confronto è tra élite pro europee e antieuropee.  

I “gilet gialli” francesi forse raffigurano oggi l’unico esempio di ritorno della Politica sulla strada (eccessi a parte): azione di militanza molto differente dallo scroscio di applausi ad alta velocità, misto a voglia di sicurezza, che accompagna la fine della Libertà in Italia.

Star Wars insegna. Buon 25 Aprile a tutte/i, anche ai nostalgici della camicia nera e del manganello.

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