GUAI AI VINCENTI

Lega in crisi. D'abbondanza

Con il vento elettorale in poppa i vertici del Carroccio scoprono di avere un ceto politico di basso livello. Le scelte del segretario Molinari per rafforzare la propria leadership all'interno del partito. Il flop del comizio di Salvini e il "nodo Torino"

Basterebbe ribaltare la storica frase di Pietro Nenni dopo la sconfitta del ’48, piazze piene urne vuote, per archiviare con un’alzata di spalle il mezzo flop di sabato sera e suffragare la previsione di eleggere “non meno di cinque consiglieri regionali solo a Torino e provincia”. Ma un’altra piazza, quella di Biella, Matteo Salvini l’aveva riempita solo un paio di ore prima come una scatoletta di sardine: oltre 4mila persone, ben più del doppio rispetto al capoluogo. E, si sa, la Lega sfonderà proprio nelle province come già accaduto in più di una tornata elettorale, patendo la resistenza al messaggio del segretario (così come a quello di ogni altro suo predecessore, Umberto Bossi compreso) sotto la Mole.

Sarebbe bastato non cambiare la location del comizio spostandola da una sala d’hotel alla pur non grande piazza Carlo Alberto oppure pensare a riempirla come d’uso con pullman dal resto del Piemonte. Errore tattico non troppo ben digerito dal Capitano, sebbene dal palco abbia fatto di tutto per dissumulare il disappunto. Il campanello d’allarme, per Torino, comunque è suonato, arrivando anche a qualche orecchio forse non uscito indenne da tirate per quel mezzo flop, ammesso a denti stretti pure da qualche parlamentare, precettato come tutta la caterva di candidati per quella che doveva essere la partenza in grande stile della campagna elettorale.

Un inciampo nell’iconografia salviniana dei bagni di folla, forse dovuto all’effetto vittoria in pugno che ormai pervade, aldilà delle dichiarazioni ritualmente e scaramanticamente misurate, i vertici del Carroccio. Lo stesso clima che ha connotato anche le trattive con gli alleati concluse, come noto, con una Lega-pigliatutto (o quasi). Ma come si sono sbagliati i conti con i torinesi, così nello stesso partito piemontese c’è chi rischia di non aver centrato del tutto le scelte per comporre la squadra che si annuncia come la più grande a Palazzo Lascaris e, di conseguenza, anche per quella che Alberto Cirio, nel caso di vittoria, si troverà indicata dal Carroccio.

Una situazione, quella che mostra come lato debole la carenza politico-amministrativa di più di un candidato, figlia di molte madri: c’è la conclamata scarsità di classe dirigente leghista in Piemonte, conseguenza a sua volta di precedenti successi elettorali che hanno portato molti in Parlamento e altrettanti a guidare città importanti o esserne amministratori difficilmente sostituibili. A questa penuria di risorse disponibili si è, tuttavia, arrivati non senza qualche responsabilità: difficile non vedere, per esempio, l’assenza o l’insufficienza di un processo in grado di agevolare, possibilmente in fretta, un ricambio capace di evitare il ricorso, come in non pochi casi accadrà proprio per la Regione, a figure di seconda o terza fila. In questo caso probabilmente non sono del tutto campate in aria o frutto di acide invidie le critiche che sobbollono in una parte del Carroccio piemontese nei confronti del suo segretario, nonché capogruppo alla Camera. A Riccardo Molinari c’è, infatti, chi pur riconoscendogli impegno e sforzi imputa, però, un criterio alla base delle sue scelte, attuali e pregresse, più teso a rafforzare la sua leadership che non ad aprire verso la formazione di una nuova classe dirigente. È un difetto, se lo si può chiamare così, comune a molti politici di tutti i partiti. Ma adesso nella Lega potrebbe rivelarsi ancor più evidente proprio di fronte alla necessità di fornire un numero di uomini e donne considerevole per il governo del Piemonte. Magari aprendosi a pezzi di establishment tradizionalmente sospettosi e prevenuti.

La stessa decisione di concentrare tutti gli sforzi alle europee sul responsabile organizzativo nazionale Alessandro Panza, originario di Domodossola ma lontano da sempre dal leghismo piemontese, viene letta non solo e non tanto come un ordine di scuderia di via Bellerio, quanto una scelta convintamente e fortemente condivisa del segretario regionale. Chi pensa male suggerisce che, oltre a frenare la corsa in salita verso Bruxelles della ribelle Gianna Gancia, l’appoggio a Panza sia servito pure a impedire la candidatura dell’attuale senatore cuneese Giorgio Maria Bergesio, assai vicino a Roberto Calderoli. E le tardive mosse per tessere alleanze a favore di Vittoria Poggio paiono piuttosto tentativi di "depistaggio" con pressoché nulle possibilità di successo.

Puntando a portare a Palazzo Lascaris una ventina di consiglieri e avendone blindati 6 nel listino, Molinari avrebbe messo in conto di veder arrivare due eletti a Cuneo, altrettanti nella sua Alessandria e uno ciascuno per ogni altra provincia, non mettendo limiti alla provvidenza dei voti. Come una fedelissima del segretario regionale viene etichettata la biellese Chiara Caucino, data come più che favorita per un posto in via Alfieri. Meno comprensibile in alcune parti del Carroccio novarese pare essere risultato l’impegno di Molinari per avere come candidato Federico Perugini, storico avversario all’interno del partito di Massimo Giordano. C’è chi lo ha letto come un segnale, non si sa quanto volontario, proprio all’ex assessore regionale, tra i suoi primi sponsor. Ci sarebbe addirittura pronto l’assessorato all’Agricoltura per il conterraneo di Molinari, Daniele Poggio (all’anagrafe Giovanni Battista), 63 anni. È il sindaco di Capriata d’Orba, un paese di meno d duemila abitanti. Ma quando ogni anno arriva Salvini, ad applaudirlo, tra un piatto di ravioli e un bicchiere di vino, c’è molta più gente di quanta ne è arrivata l’altro ieri in piazza a Torino.

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