Le società in house non funzionano

Il sindaco di Roma avrebbe detto (Corriere della Sera del 21.4.19, Cronaca di Roma) all’amministratore dell’Ama (società in house concessionaria del Servizio di Igiene Urbana ): “Non devi valutare. Il socio ti  chiede di fare una modifica: la devi fare”. Di che cosa sta parlando? Di una scelta discrezionale dell’interlocutore? No , del bilancio della Ama Spa controllata dal Comune di Roma. Stupisce che il sindaco, pur essendo un avvocato, mostri di ignorare che il bilancio “deve rappresentare in modo veritiero e corretto la situazione patrimoniale e finanziaria della società e il risultato economico dell’esercizio (art. 2423 del C.C.), e che perciò non è consentito che sia frutto di valutazioni, né dell’amministratore né del socio.

Il sistema delle società “in house” consiste nell’affidamento diretto in concessione di servizi di pubblica utilità da parte degli enti locali a società di proprietà dello stesso comune, sottraendo la relativa attività economica al libero mercato ed alla concorrenza, così come consentito dalla legge nazionale in deroga alle regole dell’Ue in materia.

Su questa materia abbiamo scritto, nel nostro saggio Superare il Capitalismo Municipale, “Il conflitto di interessi  degli amministratori/gestori delle società in house favorisce malversazioni, abusi di  potere, interessi privati in atti pubblici, clientelismo e nepotismi“. Tralasciamo di ricordare qui le ragioni che inducono le amministrazioni locali a preferire il sistema in house, che sono abbastanza conosciute, o intuibili. Ci preme invece osservare come il caso in oggetto sia esemplare dell’inadeguatezza degli amministratori locali alla Governance dei servizi di pubblica utilità.  

La qualità e competenza delle amministrazioni locali  non ha tenuto il passo dell’evoluzione della tecnologia nell’aggiornamento e nella conduzione delle reti e degli impianti. Di conseguenza gli amministratori locali non  hanno la possibilità di un effettivo controllo sull’operato dei soggetti industriali ai quali sono costretti ad affidare la gestione dei servizi. Cioè cedono e non delegano. Si è così pensato di rimediare creando un sistema nel quale l’ente locale detiene i titoli di proprietà della società affidataria. Ma il nostro ordinamento non consente al proprietario di interferire nella gestione della società, e tanto meno di violare il C.C., ma solo di indirizzarne la strategia. Questa sottigliezza è evidentemente sfuggita la sindaco di Roma.

Morale: l’attribuzione della proprietà delle società erogatrici dei servizi non rimedia a quello che è il problema che, in buona parte dei nostri enti locali, affligge il settore: l’insufficiente competenza e capacità di Governance dell’organo concedente questi servizi, che sono di grande complessità industriale e di grande importanza per la qualità della vita delle popolazioni locali. A Roma, ancor di più del caso Ama, lo ha dimostrato il caso Atac. Indipendentemente del perdurare o meno della preferenza per il sistema in house, la soluzione del problema arriverà solo con una maggiore preparazione del personale e delle strutture preposte all’affidamento dei servizi ed al controllo dell’operato dei concessionari, anche se ci vorranno anni o decenni per ottenerla.

*Roberto Falcone, Società Libera

print_icon