Corruzione, affare di Stato

La cronaca degli ultimi giorni è stata infarcita di notizie di episodi di corruzione e concussione con interventi delle forze dell’ordine e della magistratura da nord a sud della penisola. Colpisce la coincidenza che le indagini coinvolgono sia regioni come la Calabria sia regioni come la Lombardia. Sembrerebbe che tutto il Paese sia afflitto dal problema della corruzione. Qualcuno, al solito, dirà che questo succede solo in Italia, anche se in realtà casi simili capitano un po’ dappertutto anche se in misura minore. Di questo maggiore numero di casi di corruzione qualcuno trova la causa nel carattere degli italiani, come se fossero antropologicamente diversi dagli altri occidentali. In realtà la causa di tanta corruzione e concussione è dovuta alla pervasività dello Stato italiano con il potere discrezionale di politici e burocrati.

Innanzitutto bisogna rilevare che la spesa pubblica in Italia supera gli 800 miliardi di euro e pertanto lo stato italiano risulta il maggiore acquirente di beni e servizi e qualunque imprenditore non può che desiderare di averlo fra i clienti. L’1% della spesa pubblica corrisponde a ben 8 miliardi di euro, un millesimo a 800 milioni, un decimillesimo a 80 milioni; dividendo la spesa pubblica per centomila arriviamo ad una cifra di 8 milioni che rimane un importo ragguardevole. Ciò per dimostrare l’immensità della spesa pubblica. Già solo questo fa capire la tentazione a cui sono sottoposti imprenditori, politici e funzionari pubblici. Riducendo la spesa per una mera questione di quantità si ridurrebbero le occasioni per ruberie e sprechi. Privatizzando previdenza, sanità e scuola il bilancio dello stato si ridurrebbe della metà. Certamente la spesa pubblica è divisa fra amministrazione centrale, enti territoriali e altri soggetti decisionali, ma rimane comunque imponente ed intercettarne una piccola frazione significa appropriarsi di una cifra importante.

Al di là del dato quantitativo si deve considerare anche l’aspetto qualitativo che è legato al potere spropositato dello stato che con una semplice firma può decidere della vita di milioni di persone. In particolare, autorizzazioni, licenze, permessi, piani regolatori, concessioni, ecc. possono decidere il successo di un’impresa e di conseguenza l’arricchimento di alcuni. È sufficiente pensare al potere dei comuni che possono decidere che un terreno agricolo diventi edificatorio, trasformando un appezzamento in periferia senza alcun valore in una ricca proprietà. Ma questo è vero per tante attività in cui la burocrazia fa da tappo: se per aspettare un permesso c’è da aspettare anni e più che normale che si cerchino delle scorciatoie. La colpa è del cittadino che cerca una scorciatoia o dello stato che fa aspettare anni? Quante leggi sono fatte più per mettere paletti che per facilitare la vita dei cittadini?

Se la burocrazia fosse meno arbitraria e più semplificata eliminando la necessità di tanti permessi ed autorizzazioni e con procedure automatiche, le occasioni di corruzione sarebbero minori.

Il problema non si risolve creando uno stato di polizia che non farebbe altro che ridurre la già compromessa libertà del cittadino, ma riducendo spesa pubblica e burocrazia, semplificando le procedure statali e automatizzando gli uffici riducendo il personale. Complicando le procedure per prevenire la corruzione non si fa altro che moltiplicare le occasioni in cui è necessario “oliare” il sistema per ottenere ciò che spetta. I risultati sono evidenti: da tangentopoli in avanti nonostante l’inasprimento di pene e nuove leggi per prevenire corruzione e concussione nulla è cambiato. La semplice lezione della libertà non si impara mai.

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