Una zecca rossa al Salone

148.000 visitatori e un grande successo, per nulla scontato alla vigilia della sua inaugurazione: questa è la sintesi del trentaduesimo appuntamento con il Salone Internazionale del Libro di Torino. La conferenza stampa finale, oltre a rendere pubblici i numeri della kermesse, è stata l’occasione per mettere i doverosi accenti sull’impegno dell’organizzazione, la quale ha realizzato tutto in sole undici settimane.

Secondo i conferenzieri la manifestazione è giunta finalmente al suo numero “zero”, all’agognato traguardo da cui ripartire dopo i maremoti devastanti degli anni scorsi (così come dei mesi passati). Un riavvio, come sottolineato dalla sindaca Chiara Appendino, anticipato da vere e proprie tempeste poiché, secondo il rimarco del presidente del Circolo dei Lettori Giulio Biino, “il Salone attira i problemi” come una calamita attrae il ferro.

Effettivamente pare che l’epoca di Rolando Picchioni, con gli annessi smottamenti di transizione verso la nuova gestione, sia stata definitivamente archiviata lasciando spazio alla cosiddetta rinascita. Una ripartenza avviata grazie a una successione di eventi complessi, come illustrato (in maniera leggermente auto celebrativa, o meglio elettorale) dall’assessora regionale Antonella Parigi, il cui epilogo è consistito nella creazione di una cordata di salvataggio pubblico/privato.

Attualmente la res publica è la somma delle Istituzioni radunate sotto la blasonata bandiera del Circolo dei Lettori (nella veste del citato Biino e della direttrice Maurizia Rebola). Il mondo imprenditoriale è invece racchiuso nell’associazione Amici Città del Libro di Torino (il cui presidente è Silvio Viale, l’ex allenatore del Saluzzo Calcio), ossia nell’insieme di quei creditori che tramite il sostegno delle fondazioni bancarie hanno acquistato il marchio del salone torinese.

Salvatori stravaganti poiché affidatisi alle stesse realtà che sono state in parte causa del debito accumulato dalla passata amministrazione del Salone: un percorso di soppressione del vecchio ente culturale librario dai tratti purtroppo simili a quelli che hanno facilitato l’assassinio del Centro di educazione ambientale di Prà Catinat (Fenestrelle).

È incontestabile come da anni i torinesi siano stati educati a una suspense sabauda, quindi composta, innanzi alla tradizionale incertezza avvolgente la manifestazione di maggio dedicata agli editori. Timori dovuti alle solite manovre politico-amministrative che sino all’ultimo pongono il Salone del Libro in bilico tra la sua inaugurazione e un fallimento a favore dei meneghini.

Milano infatti ha portato avanti nel tempo numerosi tentativi di scippo della nostra storica fiera culturale. Una volontà ferrea a punto di far dubitare di una regìa lombarda occulta nella nota vicenda “Altaforte”: la polemica che ha contrapposto la direzione del Salone alla casa editrice vicina a CasaPound (nonché curatrice di un’autobiografia dedicata al ministro Matteo Salvini) da cui è derivato il boicottaggio (poi rientrato) da parte di autori e aziende antifasciste nei riguardi di Torino.

Indubbiamente la vicenda “Altaforte” (attualmente campione di vendite su Amazon grazie alla pubblicità assicurata dai reportage giornalistici) ha avuto un ruolo determinante nell’assegnare alla manifestazione libraria subalpina uno specchio, in cui per alcuni giorni si è riflessa la società civile e politica del nostro Paese.

La presenza presso il Salone di editori dalla marcata fede neofascista prescinde dall’esclusione di Altaforte, poiché questi abbondano regolarmente ogni anno: sono riconoscibili dalle biografie e dai titoli messi in bella mostra nei loro stand (oltre per i nomi adottati da alcune case editrici, che quasi sempre si rifanno alla mitologia nordica). A riprova, pure nella 32esima edizione del salone non sono invero mancate agiografie di Benito Mussolini e pile di copie dell’inquietante Mein Kampf, firmato da Adolf Hitler (testo naturalmente non commentato in modo critico su modello consentito in Germania).

Esempi eclatanti di una continua disapplicazione della legge Scelba (divieto di ogni ricostituzione del partito fascista) a cui si è provato a porre rimedio tramite una programmazione del Salone ricca di dibattiti sul fascismo e sul suo preoccupante riaffacciarsi in Europa (ricordo tra tanti lo storico Emilio Gentile autore di Chi è Fascista), ma anche conferma di un’importante attenzione commerciale rivolta a nostalgici del ventennio.

Salone del Libro quale ritratto della società pure osservando i numerosi stand che, tra editori fieri di esporre adesivi antifascisti, proponevano ai visitatori titoli che non celavano narrazioni leggere, racconti epici al limite della storia da fumetto, saggi mistici richiamanti filosofie neo-religiose sospese tra la new age e la setta che valorizza riti pagani.

Emerge in sintesi un quadro culturale nazionale frammentato, nonché sospeso tra pesanti contraddizioni poste a freno di un qualsiasi dialogo aperto al confronto. Il pensiero e l’approccio critico alle teorie politico-economiche perdono terreno a favore della strumentalizzazione commerciale. Le autopubblicazioni rappresentano efficacemente la sconfitta della cultura, così come tutti quei saggi che stravolgono la storia a fini puramente identitari e di consenso elettorale (vedi Piemontesi Bastardi, di Luciano Cini, messo in bella mostra in uno dei tanti stand che si affiancano alle tesi anti-risorgimentali dell’estrema destra). 

Salone del Libro quale terribile cartina tornasole di una collettività allo sbando quasi totale, di uno Stato dove il ministro dell’Interno (in coro con il centrodestra piemontese) può permettersi il lusso di chiedere la testa del direttore della kermesse, Nicola Lagioia, per aver osato cacciare (seppur tardivamente) una casa editrice il cui proprietario vanta pubblicamente il suo essere “fascista”.

Durante la conferenza stampa di fine manifestazione tutti gli oratori hanno difeso l’operato dei vertici del Salone Internazionale del Libro di Torino, annunciando al contempo le date dell’appuntamento librario degli anni 2020 e 2021.

Una previsione rivolta al futuro che forse rifiuta di fare i conti con un pericoloso ritorno al passato che si sta velocemente riaffacciando sulla testa degli italiani. Le date dei prossimi anni sembrano comunque parte di un rito propiziatorio: un vaccino antivirale, un sostegno diretto a coloro che anelano ancora a un mondo migliore, dove siano rispettati i diritti e la vita di tutti gli esseri.

Il futuro, ci ricorda il Salone, è ancora tutto da scrivere. Penna e carta sono nelle nostre mani: basta farne finalmente buon uso. Parola di “zecca rossa” (appellativo che adotto in onore del ministro al Bar dello Sport).

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