VERSO IL VOTO

Vietti prenota Finpiemonte

Il ritorno del notabile democristiano, in coppia con l'amico Ghigo, a sostegno di Cirio. Un zampa nell'Udc per frenare Bonsignore e occhi puntati sulla finanziaria regionale. Quell'endorsement a Fassino che non portò propriamente bene all'ex sindaco

“Una volta finiti in fondo a un armadio, un pullover o un paio di scarpe vengono dimenticati ed è come non averli”, spiegava Michele Vietti qualche anno fa intervistato da una rivista per bon vivant. “Invece tenere in bella vista non solo gli abiti appesi secondo i pesi per stagione, ma anche le camicie, le bretelle, le cravatte, le scarpe, aiuta a selezionare i capi più adatti con cui comporre l’abito che giorno per giorno si vuole indossare”.

Consiglio elargito con cognizione di causa. E non solo per la riconosciuta eleganza del sessantacinquenne avvocato torinese, seppur valligiano (di Lanzo) per nascita, che non tradisce mai la camicia bianca rigata di azzurro, blu, ma anche rosso rigorosamente chiuse ai polsi da gemelli di cui confessò indulgere alla collezione. Quasi come per gli incarichi. Già, perché il politico di lunghissimo corso – deputato per quattro legislature, tre volte sottosegretario, un paio di mandati al Consiglio Superiore della Magistratura di cui uno sulla poltrona di vicepresidente, più una sfilza di presidenze in enti, commissioni, società e associazioni – quella regola del pullover da non lasciare al fondo dell’armadio l’ha sempre applicata con successo. Insieme all’attenzione con cui compore l’abito giusto per l’occasione.

L’ultima che gli si è presentata vede soffiare il vento del cambiamento in Regione. Vietti da riconosciuto arbiter elegantiarum – immagine che non collide affatto con quella di frequentatore di salotti e feste assai ben frequentate – ha dato una rapida occhiata allo sterminato guardaroba e con decisione è passato oltre al dress code osservato in occasione delle comunali torinesi del 2016 quando s’era abbigliato a sostenere la grisaglia con dentro Piero Fassino e scelto sul lato destro della fila afferrando l’appendino giusto (quello minuscolo) e proceduto a passo lesto verso il candidato governatore del centrodestra Alberto Cirio.

Il giurista con interessi nelle attività di famiglia nella sanità privata, passato tra le sigle epigone della Democrazia CristianaCdu, Ccd, Udc – in cui mosse i primi passi politici giovanili e dove ebbe una zia, Anna Maria, parlamentare a cavallo degli anni Settanta e Ottanta, quando decise di schierarsi per il sindaco uscente trovò al suo fianco, così come adesso, l’ex governatore del Piemonte Enzo Ghigo. Ma, al contrario del primo e unico presidente della Regione di Forza Italia ormai palesemente disinteressato ad ogni poltrona, preferendo le sdraio in riva al mare o il più sportivo sellino della bici da corsa, Vietti per dirla con chi lo descrive spargendo gocce di curaro, soffre se non s’offre. Insomma, mettersi a disposizione è, per lui, un gesto naturale come annodare una delle moltissime cravatte di Marinella. Lo ha fatto convintamente e suscitando un certo sconcerto quasi tre anni fa, peraltro senza troppa fortuna, per usare un eufemismo. Era il 2016 e due anni prima aveva lasciato Palazzo dei Marescialli dov’era arrivato eletto quasi all’unanimità (solo due schede bianche su 26 votanti), ma appena un anno dopo la sconfitta di Fassino per l’avvocato torinesi arriva la chiamata di Roberto Maroni. È lui che lo vuole e lo piazza al vertice di Finlombarda, il braccio finanziario del Pirellone in grado di attivare qualcosa come due miliardi di euro all’anno. Lui di euro per quell’incarico, ne guadagna 102.720. E la data di fine mandato si avvicina: il prossimo 31 dicembre.

Una ragione in più per suffragare le ipotesi che da tempo girano sul futuro, non certo lontano da qualche poltrona, dell’uomo che raramente ne è rimasto privo. Di lui e delle sue ambizioni si parla da tempo guardando al vertice di qualche fondazione bancaria. Quelle torinesi innanzitutto. Ma se per la Crt è saldamente in sella, appena riconfermato, Giovanni Quaglia, in Compagnia di SanPaolo la fila nella non improbabile ipotesi di mancata riconferma di Francesco Profumo è già lunga. E, soprattutto, la golden share ce l’ha Appendino (quella con la maiuscola) e quell’endorsement a Fassino non gioverebbe all’eventuale viatico della sindaca.

L’altra sera, all’ennesimo incontro pro Cirio, insieme all’inseparabile Ghigo, Vietti ha ricevuto l’appello del segretario regionale dell’Udc, Gianni Barosini che ne ha pubblicamente auspicato un ritorno in scena, forse distratto dal fatto che la scena l’ex parlamentare non l’ha mai del tutto lasciata.

Una dose abbondante di apprezzamento, quella di Barosini, che qualcuno ha letto anche come un segnale in codice a Vito Bonsignore, visto la nota assenza di feeling tra l’ex supporter di Fassino l’ex ras andreottiano ancora gran burattinaio di quel che succede tra i post-democristiani in Piemonte.

Un ritorno sulla scena piemontese, complice il non lontano termine del suo mandato in FinLombarda, è tutt’altro che escluso e lontano dai programmi di Vietti. Nell’attesa che si possa liberare una di quelle due poltrone al vertice delle rispettive fondazioni, per lui potrebbe aprirsi il portone di Finpiemonte.

La finanziaria attraversata pesantemente dall’inchiesta giudiziaria e ridotta nelle aspettative e nelle promesse iniziali di Sergio Chiamparino, sarà uno dei centri nevralgici in cui il centrodestra, in caso di vittoria, metterà subito mano. E visto che da quelle parti soprattutto nella Lega, non abbondano profili in grado di prendere in mano, gestire e magari rivoltare quello che è stato uno dei punti neri dell’attuale amministrazione regionale, Vietti potrebbe avere più di una chance. Lui, anche per questa occasione, ha pronto l’abito giusto. Perché l’importante è non dimenticare mai nulla in fondo all’armadio.  

print_icon