TRAVAGLI DEMOCRATICI

Il Pd seppellisce Chiappendino

Il partito torinese, soprattutto il gruppo consiliare della Sala rossa, tira un sospiro di sollievo per la decisione dell'ex governatore di ritirarsi. Saliranno i toni dello scontro con Appendino e il M5s. "Con loro nessun accordo, sono di destra", afferma il segretario Carretta

Liberati da un peso. È la sensazione che danno coloro, e non son pochi, a partire dalla pattuglia in consiglio comunale a Torino, che nel Pd hanno accolto l’annuncio di Sergio Chiamparino di lasciare ben presto lo scranno di Palazzo Lascaris e quindi non guidare l’opposizione. Un ruolo che, semmai l’ex presidente avesse deciso di rivestire, avrebbe agli occhi di molti tenuto ancora vivo, seppur un po’ ammaccato, quel Chiappendino di cui gli stessi oggi festeggiano la fine. Le mani assai più libere, con lo scacciare lo spettro del tutoraggio nei confronti di Chiara Appendino da parte dell’ex governatore, facilmente apriranno a una stagione di rapporti assai più tesi e di scontro tra Pd e M5s, incominciando proprio da Palazzo di Città.

Non appare avulsa da questo contesto l’uscita, a poche ore da voto regionale, del segretario metropolitano del Pd Mimmo Carretta che classifica senza se e senza ma i Cinquestelle come “di destra”. E, spiega, “non solo perché i suoi elettori hanno scelto di votare Lega, è di destra perché è di destra l'antipolitica tout court , è di destra soffiare sul malcontento senza generare visioni. E negli ultimi anni i Cinquestelle hanno prima ospitato, poi manipolato e infine traghettato cittadini tra le braccia della Lega”.

Carretta per spiegare le ragioni di questa sua tesi usa l’immagine della lavatrice: “Questo sono stati i grillini: nel loro movimento sono entrati elettori di sinistra che massicce dosi di populismo e antipolitica hanno preparato per il successivo passaggio nella Lega”. Un processo che, sempre secondo il segretario, “era ampiamente prevedibile, anche se non in queste dimensioni”. Previsione che, evidentemente a molti se non tutti nel suo partito o è sfuggita o è stata sottovalutata o, ancora, rifiutata da chi persevera nel definire il M5s sostanzialmente di sinistra e gran parte dei suoi elettori dello stesso fronte. Il voto di domenica, anche e soprattutto in Piemonte, ha dimostrato il contrario non essendosi vista traccia di quel ritorno di elettori che in una parte del Pd era indicato come obiettivo e come non remota eventualità. Lo dimostra l’analisi del Centro italiano di studi elettorali (Cise) secondo cui a Torino il Pd non ha beneficiato per nulla del crollo dell’elettorato grillino.

Ma c'è chi, all'interno dello stesso Partito Democratico, questa classificazione la respinge e invita, anzi ad aperture verso il movimento. "Distribuire patenti di destra e di sinistra, oltre a peccare di presunzione, potrebbe rivelarsi un esercizio sterile se non dannoso" replica a stretto giro di posta l'ex presidente del Consiglio regionale Nino Boeti. "Credo, invece, che in alcuni Comuni dove ci attende il ballottaggio sia scelta responsabile tentare di dialogare con i Cinquestelle, partendo da sensibilità e temi affini, a cominciare dall’ambiente e dalla difesa del territorio", spiega l'esponente dem, escluso dalla ricandidatura non avendo ottenuto la deroga.

"Valori che mi paiono da sempre essere di sinistra. Ieri andavano bene i patti con Berlusconi e Verdini, mentre oggi si demonizzano i 5Stelle forse per affossare qualsiasi tentativo di confronto: la teoria delle due destre può avere solo una funzione, quella di alibi per le nostre sconfitte presenti e future. Compito della politica è costruire alleanze e progetti, non sostituirsi ai politologi".

Per Boeti che su un tema cruciale per il M5S come la Tav ha sempre avuto una posizione non ortodossa a quella del Pd, "Chiudere la porta ad ogni dialogo con i Cinquestelle significa una sola cosa: continuare a far vincere Salvini. Gli abbiamo consegnato il Paese, forse possiamo evitare di consegnargli anche molti Comuni. Altrimenti, da sconfitti e senza contare un bel niente, non ci resterà che stare a discettare tra chi è più di destra.

Ma proprio guardando al voto di domenica, per il segretario torinese del Pd , la stessa tenuta del partito a Torino, rispetto al centrodestra, viene definita da Carretta “tutt’altro che appagante. Se usassimo questa parola oltre a sbagliare, ci faremmo del male”. Che, pur con diplomazia, pone una pietra sul Chiappendino: “Con la sconfitta di Chiamparino la concordia istituzionale, uno dei volti del Chiappendino, viene a cessare. Per il resto non vedo ad oggi possibilità di interlocuzione con i Cinquestelle. Il futuro non so cosa potrà riservarci. Oggi mi pare la situazione sia chiara”, spiega rispondendo alla domanda sull’idea coltivata in qualche modo da alcune parti del Pd circa eventuali aperture. E pur senza citare né Chiamparino, né altri attempati esponenti del partito, Carretta osserva come “gran parte degli eletti sia in Consiglio regionale, sia nei Comuni sono intorno ai quarant’anni. Un’indicazione precisa della necessità e della volontà di rinnovare la classe dirigente”.

Analisi fatta con ben altro stile rispetto a quella del social media manager ingaggiato dal segretario regionale dem Paolo Furia: “Basta vecchi, basta Fassino, basta con questa gente che fa politica da 25 anni: loro vogliono solo il potere” dice in un video (poi inutilmente cancellato) Federico Bottino. “Anche nel caso di Chiamparino, che io stesso ho aiutato con il mio lavoro, si va a fare la retorica del buon amministratore. Non funziona un cazzo: funziona soltanto la retorica del cambiamento. Serve roba nuova per intercettare la voglia di cambiamento delle persone, servono metodi nuovi, idee nuove e volti nuovi, come quelli di Paolo Furia per esempio”. Parola di stratega del…web.

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