Quel valore poco "aggiunto"

A bocce ferme, in Piemonte è finita come molti davano quasi per scontato e prevedevano. Al di là della comprensibile propaganda, delle esagerazioni fisiologiche della campagna elettorale e degli annunci trionfalistici che venivano sfornati quotidianamente. Ci sono alcune costanti, però, che non possono essere sottaciute. A cominciare dal tanto decantato “voto disgiunto”. Tutti sanno, ma proprio tutti, che il cosiddetto “voto disgiunto” è un metodo praticato da una piccolissima, e del tutto ininfluente, cerchia elettorale. Una piccola elite rispetto all’intero corpo elettorale che, di norma, non cambia il risultato finale. Come è puntualmente capitato anche in questa tornata piemontese. Un’altra bufala che è stata smentita dai fatti è quella secondo la quale in Piemonte si sarebbe votato prevalentemente il candidato a presidente e non per i partiti. Una bufala che quasi tutti sapevano. E questo per un semplice motivo: i cittadini elettori votano, di norma, il proprio partito e poi eventualmente anche il candidato a presidente. Infine, e per l'ennesima volta come è già avvenuto recentemente in Abruzzo e in Sardegna, non si può confondere la popolarità e la conoscenza del candidato a presidente con i consensi che quel candidato può ottenere alle elezioni. Perché, come è puntualmente di nuovo capitato, un conto è la conoscenza e l’apprezzamento del candidato a presidente, altra cosa è il consenso reale che riscuote.

Detto questo, e per restare nel campo degli sconfitti - cioè del centrosinistra - è sufficientemente chiaro a tutti che se si vuole ricostruire questa alleanza, senza limitarsi a festeggiare per il pur importante risultato raggiunto nella sola città di Torino, servono una sinistra forte e visibile e un centro altrettanto forte e visibile. Senza questa precondizione, e stando alle costanti politiche ed elettorali reali e non quelle inventate dai giornali, il centrosinistra non sarà semplicemente più competitivo. Cioè, per dirla in termini ancor più elementari, senza un centro plurale, autonomo e indipendente e senza una sinistra altrettanto robusta la gara non c’è. Va, cioè, ricostruito l’intero campo politico del centrosinistra e va ridefinita la stessa geografia politica di quel campo. Una operazione indubbiamente nazionale ma che può e deve ripartire dal basso, cioè dalla periferia.

Sotto questo versante è bene richiamare una aspetto che non può più avere cittadinanza nel centrosinistra da ricostruire. E cioè, dopo l’archiviazione della cosiddetta “vocazione maggioritaria” dove tutto si riconosceva in un solo partito, il Pd, sarebbe letale se adesso a quella strategia politica venisse sostituita una prassi dove tutto sommato poco cambia. Ovvero, se l’azionista di maggioranza della coalizione, seppur molto più indebolito rispetto al passato, si incarica nuovamente di distribuire le carte. Per capirci, decidere a tavolino chi copre il fianco sinistro, chi il fianco destro e chi il fianco centrista/cattolico della coalizione. Come un po’ è avvenuto in Piemonte in questa tornata elettorale. Ecco, tutto ciò è semplicemente da rispedire al mittente, anche perché non produce significativi risultati politici ed elettorali.

Certo, e per fermarsi al solo “centro”, l’indubbio spazio elettorale che c’è nel nostro paese in questa fase storica non può nascere per decreto. O dall’alto. O per imposizione di qualcuno. Lo spazio elettorale, che indubbiamente c’è, va sempre accompagnato da un progetto politico, da un approfondimento culturale e da uno sforzo organizzativo. Senza questi ingredienti non c’è futuro.

Ecco, il centrosinistra, almeno secondo la mia opinione e non solo, deve ripartire da queste condizioni se vuol ritornare ad essere competitivo con il centrodestra e con il seppur decadente Movimento dei 5 stelle. Nulla nasce a caso e non si vince neanche con il solo “valore aggiunto” del candidato. Come è capitato, altrettanto puntualmente, alle recenti elezioni del Piemonte.

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