TRAVAGLI DEMOCRATICI

Renziani piemontesi Lotti-zzati

Il braccio destro dell'ex premier si stacca da Martina e fonda Base Riformista, portandosi dietro lo zoccolo duro dei parlamentari dem. Borghi: "Se Zingaretti vuole riunire il partito dovrà discutere anche con noi". Solo Taricco e Lepri si sfilano e restano accanto all'ex ministro

Assisi, Marzabotto, Montecatini. Il calendario delle convention traccia le tappe di un percorso che si conclude, neanche a dirlo, il 12 luglio a Milano con il one man show di Matteo Renzi. Ma se il senatore di Scandicci evoca nel titolo un “Ritorno al futuro”, nel Pd sembra essere tornati due passi indietro, ai tempi delle correnti, organizzate e strutturate. Non è riuscito a rottamarle l’ex segretario che anzi ora osserva con certo distacco il proliferare di componenti che tra varie sfumature riconducono alla sua esperienza al Nazareno. Il congresso è alle spalle, ma dopo il terremoto che ha di fatto aperto l’era di Nicola Zingaretti, non sono mancate le scosse di assestamento, soprattutto nelle varie anime della minoranza.

A implodere è stata la mozione di Maurizio Martina, appena dopo il tonfo inaspettato ai gazebo. All’indomani della Caporetto, Luca Lotti, si è messo in proprio e ha fondato Base Riformista, assieme a Lorenzo Guerini. Erano il braccio destro e sinistro di Renzi: Lotti vigilava sull’azione di governo, Guerini gestiva in nome e per conto il partito. Con loro c’è un bel pezzo di apparato, trascinato dietro dalla folta pattuglia parlamentare. In Piemonte hanno aderito Davide Gariglio, Enrico Borghi, Francesca Bonomo, Mauro Laus e Mauro Marino, quest’ultimo separando il proprio destino da quello di Maria Elena Boschi, la quale resta al fianco di Roberto Giachetti, tra coloro che incarnano (o almeno pensano di incarnare) lo spirito più autentico del renzismo, quello delle origini. Tra i piemontesi merita un discorso a parte Silvia Fregolent, nell’orbita di Base Riformista ma autonoma, forte di un link diretto con Renzi. Stefano Lepri e Mino Taricco, invece, hanno seguito Graziano Delrio alla corte di Maurizio Martina, così come la cuneese Chiara Gribaudo, sulle orme di Matteo Orfini. Con Martina ci sono anche l’ex parlamentare europeo Daniele Viotti e quel che resta dei richettiani, guidati in terra allobroga da Claudio Lubatti, consigliere comunale a Torino, già assessore ai Trasporti di Piero Fassino. (GUARDA LA MAPPA DELLE CORRENTI)

Chiusa la finestra elettorale con i ballottaggi di domenica, Zingaretti dovrà tornare a occuparsi del partito: il neo segretario vuole aprire un dialogo con le minoranze e varare una segreteria unitaria. Dall’uomo solo al comando a un primus inter pares? Chissà. Le urne gli hanno riconsegnato un partito quantomeno vivo e non era scontato, ma in questo caso tirare a campare difficilmente aiuterà a evitare di tirare le cuoia. “Lavoriamo per un partito unito ma il segretario sappia che se vuole ricomporre il Pd dovrà parlare con noi, che rispetto a Martina siamo altra cosa” afferma il deputato verbanese Borghi. A buon intenditor poche parole.

L’altolà di Borghi non arriva a caso: in questi giorni, infatti, Martina ha pubblicato il fitto programma del forum di Fianco a fianco, la sua corrente, che si terrà a Marzabotto, nel Bolognese, tra il 21 e il 23 giugno. Chiuderanno la tre giorni gli interventi suo e di Zingaretti, appunto, a marcare l’inizio di un dialogo che dovrebbe condurre a segreteria unitaria e gestione collegiale del partito. “Not in my name” gli urlerà un paio di settimane dopo Lotti dal palco della convention di Base Riformista a Montecatini, mentre i primi a riunirsi saranno gli ascari di Giachetti e Anna Ascani il 15 e 16 giugno ad Assisi. Il loro nucleo è rimasto compatto, il collegamento con Renzi è assicurato da Boschi, mentre in Piemonte la corrente ruota attorno al novarese Giuseppe Genoni, a Davide Ricca, presidente della VIII Circoscrizione di Torino e all’ex viceministro Enrico Morando. Sono loro quelli che guardano con più interesse a quel che potrebbe succedere a Milano, alla cosa bianca di Renzi, “chissà magari con Calenda”. Suggestioni che a dire il vero a oggi sembrano lontane dal trasformarsi in qualcosa di più, soprattutto se il Governo dovesse riuscire a scavallare la legge di bilancio, spazzando via lo spettro delle urne. “Se scissione sarà valuteremo che fare” alza le spalle un dirigente che mosse nella Margherita i suoi primi passi. “Noi – prosegue – siamo quelli con le valigie sempre pronte che aspettano sulla porta da quando il Pd è nato. Mi dicevano che Rutelli avrebbe fatto da apripista, con Bersani si arrivò a un passo ma alla fine siamo ancora qua”.

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