BALLOTTAGGIO

Il centrodestra espugna Novi Ligure

Dopo 73 anni il centro operaio dell'Alessandrino strappato alla sinistra. Al secondo turno trionfa Cabella, sconfitto il primo cittadino uscente Muliere. Effetto Salvini (e Cirio)

È una spallata, anzi un pugno nello stomaco, che fa male al Pd. Per la prima volta nella storia della Repubblica, Novi Ligure la città più operaia della provincia piemontese – con l’Ilva che prima si chiamava Italsider e un tessuto di industrie che tradizionalmente hanno sempre avuto un cordone ombelicale con Genova più che con Torino – non sarà amministrata da un sindaco di sinistra come avvenne in passato o di centrosinistra guardando agli ultimi decenni.

L’uscente Rocchino Muliere è stato sconfitto, sia pure con uno scarto ridotto (6.224 voti contro 5.893), dal candidato leghista, sostenuto dalla coalizione di centrodestra, Gian Paolo Cabella. Quest’ultimo partiva con un vantaggio di poco meno di tre punti percentuali (43,97% contro 41,21) ottenuto al primo turno, quando si era votato con il traino favorevole delle europee e non di meno con l’effetto “mandiamo a casa il centrosinistra” calato sul voto regionale.

Anche per questi motivi, nel Pd e nel fronte che sosteneva l’ex capogruppo in consiglio regionale da cinque anni primo cittadino di Novi Ligure, si era alimentata la speranza di un capovolgimento delle posizioni in quel ballottaggio che come giustamente molti fanno osservare spesso non è un secondo tempo, ma una partita nuova tutta da giocare nel testa a testa.

L’esito dello scrutinio ha spazzato via quel misto di speranza e illusione in un centrosinistra che, per usare un termine pure un po’ inflazionato ma in questo caso calzante, qui aveva una delle sue storiche e fino a ieri invincibili roccaforti. Una sconfitta che pesa anche simbolicamente. Non solo per quella perdita di un primato conservato fin dal primo voto del 1946, ma anche per quel già citato carattere “operaio” (pur inteso con l’adeguamento ai tempi) di una città che ha vissuto molte trasformazioni e altrettanti momenti difficili sul fronte dell’economia e dell’occupazione.

La Novi Ligure dell’Ilva con i suoi travagli che hanno preoccupato i circa ottocento dipendenti e le migliaia del vasto indotto, ma anche della Pernigotti, storica industria dolciaria le cui maestranze rischiano da mesi il posto per la delocalizzazione decisa dalla proprietà turca. Qui alla vigilia del voto del 26 maggio Matteo Salvini aveva annunciato la vittoria promettendo di “mandare a casa i comunisti”, rispolverando un armamentario messo da tempo in soffitta dallo stesso Silvio Berlusconi. Poi, nei gorni scorsi, era tocccato al neogovernatore Alberto Cirio arrivare a Novi per sostenere, da fresco vincitore, Cabella.

Cipputi non abita più qui. E se lo fa, ha cambiato idea. Non solo da oggi, peraltro. Già le elezioni politiche dello scorso anno avevano fatto capire come proprio tra i lavoratori dell’Ilva e negli stessi sindacati la sinistra e il Pd in particolare avevano perso terreno. Allora era stato soprattutto a favore dei Cinquestelle, ma anche in parte alla Lega.

Oggi è cambiato anche questo rapporto di forza tra gli alleati di governo, con una Lega che infila nel carniere anche una preda impensabile fino a poco tempo fa. E un partito democratico che nella città rimasta ormai una fortezza Bastiani nel deserto del centrosinistra conquistato - comune dopo comune, da Alessandria a Casale Monferrato, passando per Tortona solo rimanendo in terra mandrogna – dal centrodestra, prende non tanto una spallata, ma un pugno nello stomaco. Di quelli che ti mettono in ginocchio.

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