Le risposte della Sinistra

Ballottaggi e conseguenti stravolgimenti politici hanno occupato molte pagine della cronaca della settimana in corso. La sintesi giornalistica dello scossone elettorale è relativamente semplice: il Pd tiene a fatica nel torinese, mentre la Lega fa filotto nelle antiche fortezze “rosse” e i 5 Stelle arretrano vistosamente ovunque (tranne forse a Torino Sud). Andare oltre il risultato è invece opera più complessa per la carta stampata.

A fronte dei dati, sono pochi coloro che si fermano a riflettere su quello più vistoso dell’ultimo giro di consultazione popolare, ossia il crescente fenomeno astensionista. L’Italia infatti si sta allineando rapidamente alle cosiddette “Democrazie occidentali”, dove solo la metà degli aventi diritto al voto si reca alle urne scegliendo così per l’intera comunità.

Il fronte dei delusi, di chi si sente in qualche modo tradito, è in crescita costante di anno in anno. Fenomeno che evidenzia da una parte la scarsissima disponibilità di una consistente porzione dell’elettorato (soprattutto di Sinistra) nei riguardi di processi di mediazione politica, e dall’altra il rifiuto per saturazione verso l’atto rituale di “turarsi il naso votando” per contrastare la via autoritaria intrapresa dal Paese.

Gli effetti del quadro disegnato in premessa sono visibili e riscontrabili in termini di raffronto con i voti assoluti: elemento importante quanto incontestabile nella lettura dei fatti, seppur scientemente ignorato da tutti gli opinionisti nonché dagli addetti alla politica.

Le Stalingrado d’Italia sono un clamoroso esempio dello scombussolamento in corso. Da molti anni i sindacalisti Fiom sottolineano, inascoltati, come gli operai si affidino a loro per la difesa dei diritti del Lavoro ma poi votino Lega nel segreto dell’urna. La conferma ora è giunta ai nostri occhi sotto forma di un gigantesco attacco di panico collettivo innanzi al tema populista della sicurezza, tale da far dubitare che la Penisola sia la stessa in cui sono nati politicamente molti della mia generazione.

Di certo l’epoca degli anni ’70 (nel bene come nel male) è oramai chiusa, così come è consegnata alla Storia la contrapposizione tra Peppone (Sindaco Comunista dell’Emilia Romagna) e Don Camillo (sacerdote reazionario perennemente in lotta contro i “Rossi”). Vicende romanzate affidate da tempo agli archivi del passato, in compagnia del sempre più vilipeso Risorgimento e delle rinnegate lotte operaie raccontate da grandi film quali “La classe operaia va in Paradiso” e “La Califfa”.

Muta il linguaggio, cambia il paradigma di riferimento, si ribaltano le priorità della comunità. Laddove nei decenni scorsi hanno governato il territorio le giunte di Sinistra è stato valorizzato il welfare e inoltre sono stati creati servizi per la cittadinanza, ma si è anche sviluppato un imponente apparato di potere. Assunzioni, incarichi, affidamenti individuali e contributi mirati hanno condizionato le scelte della classe politica dominante, sino a renderla spavalda, incauta e distante dalla dura realtà del quotidiano.

È stata prodotta in tal modo una cerchia di privilegiati contrapposta ai più, a coloro che combattono ogni giorno per non cadere sotto i colpi della frustrazione. Non è un caso che la parola “Privilegio” sia stata per anni la bandiera dei pentastellati, non è casuale neppure lo scavare continuo nel dolorante ventre degli italiani da parte di un Salvini in costante ricerca di consenso.

Un processo, quello descritto sin qui, dal carattere rivoluzionario (seppur di stampo reazionario) in cui sono cadute a corpo morto regioni intere, quali l’illuminata Emilia Romagna, e capoluoghi da sempre operai.

Ferrara è forse l’apice di questo strano riflusso culturale in cui sindaci sceriffi si sostituiscono a esecutivi di ispirazione sociale. Una miriade di comuni prossimamente saranno governati da personaggi da bar con tanto di codino, come Fabbri, che si perdono tra selfie, clamorose gaffe (come lo striscione a ricordo di Giulio Regeni posto davanti all’edificio comunale ferrarese e coperto immediatamente dai drappi leghisti dopo la vittoria) e dichiarazioni pubbliche costruite ad arte con il solo fine di raccogliere consensi.

Un violento colpo di coda della reazione, rimarcato pure dall’amaro abbandono in cui è stato gettato l’ex Sindaco di Riace, ha messo alla gogna Mimmo Lucano: attualmente sotto processo e velocemente dimenticato dai suoi concittadini, i quali lo hanno prontamente sostituito premiando il candidato sostenuto dalla Lega al grido di “Basta immigrati”.

Il modello Riace forse non è mai esistito se non nella retorica a cui è aggrappata la mia amata Sinistra. Retorica curativa che permette ai militanti di digerire, seppur sempre con maggior fatica, la pesantissima ed ennesima sconfitta culturale.

Purtroppo è un legame solo apparente quello tra Mimmo Lucano e i suoi elettori: cittadini che difficilmente propendono per i diritti civili, preferendo al contrario lavorare grazie al turismo oppure farsi consolare dal leader di turno quando incontrano il terribile e spaventoso “altro”.

Attualmente in Italia è più facile assistere a marce in sostegno di chi fa uso della legittima difesa, magari sparando alle spalle di ladri e svaligiatori, che imbattersi in manifestazioni a salvaguardia dei beni comuni o dei diritti violati. Raramente tra questi manifestanti qualcuno si domanda, anche solo per un attimo, qual è il prezzo della vita umana e se uccidere risarcisca davvero la manciata di denaro sottratta dal cassetto di un negozio.

Alla fine rimane comunque in piedi sempre il solito quesito, quello che il mondo socialcomunista si porta dietro da oltre un secolo: “Che fare?”. Tradotto in altri termini “Come ripartire guardando avanti e non sempre e solo al passato con infinita nostalgia?”.

Si attendono risposte prima che il crollo dei valori solidali sia irreversibile.

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