ANALISI

Migranti, fine del modello Piemonte

Il decreto Salvini mette in seria difficoltà i programmi d'integrazione promossi dalla Regione. Almeno finora, visto che Cirio li vuole rivedere e la Consulta ha dichiarato inammissibile il ricorso. La fotografia, piuttosto scontata, nella relazione annuale dell'Ires

Migliaia di titolari di protezione umanitaria arrivati in Piemonte dopo la crisi nordafricana del 2011 rischiano di non riuscire a convertire il permesso di soggiorno per protezione umanitaria in permesso per studio o lavoro. La riduzione dei fondi, limitati a vitto e alloggio, ma non più erogati per l’insegnamento dell’italiano e la formazione al lavoro, pongono possibili ostacoli all’integrazione. E se il modello piemontese di accoglienza diffusa risulta il più efficace, i tagli penalizzeranno proprio questo tipo di interventi.

Sono, questi, solo tre della decina di elementi del Decreto Sicurezza posti in evidenza come potenzialmente critici nella relazione annuale dell’Ires, Istituto di ricerche economiche e sociali per il Piemonte. “Aspetti da tenere d’occhio”, consigliano i ricercatori pur osservando che se “è presto per misurare l’impatto complessivo della norma entrata in vigore nell’ottobre dello scorso anno” risulta tuttavia “già possibile osservare alcune trasformazioni che riguardano la condizione dei richiedenti asilo nuovi arrivati, dei titolari di una forma di protezione già presenti, così come di stranieri con i requisiti per chiedere la cittadinanza italiana”.

Una fotografia del totem salviniano contro il quale l’amministrazione di Sergio Chiamparino, prima tra le Regioni, era ricorsa alla Corte Costituzionale, procedura immediatamente sospesa da Alberto Cirio non appena insediatosi in piazza Castello. Non solo. Questa mattina il governatore ascolterà quel passaggio sul decreto Salvini nel corso della presentazione dello studio dell’Ires, con dalla sua il fatto di aver evitato di vedere bocciato proprio il ricorso presentato dal suo predecessore.

Di ieri pomeriggio, infatti, la decisione con cui la Consulta ha dichiarato inammissibili i ricorsi contro il decreto sicurezza presentati dalle Regioni Calabria, Emilia Romagna, Marche, Toscana e Umbria, che ne avevano impugnato numerose disposizioni lamentando la violazione diretta o indiretta delle loro competenze. Per la Corte, le nuove regole su permessi di soggiorno, iscrizione all'anagrafe dei richiedenti asilo e Sprar sono state adottate nell'ambito delle competenze riservate in via esclusiva allo Stato.

Cirio aveva espresso la sua “volontà di ritirare il ricorso”, spiegando che “per una questione di correttezza ho inviato una lettera alla Consulta chiedendo un rinvio affinché la mia giunta appena insediata possa approfondire la questione. Ma la volontà mia e del governo regionale del Piemonte è di ritirare il ricorso in Corte costituzionale”.

Questioni giuridiche a parte, resta nel report dell’istituto di ricerca della Regione quella serie di punti potenzialmente critici che il provvedimento-bandiera della Lega conterrebbe, non ultimo quello relativo all’assistenza sanitaria: secondo l’Ires, i richiedenti asilo potrebbero non avere accesso al medico di base e alle cure, salvo quelle emergenziali, ma i costi delle cure sono molto superiori a quelli della prevenzione. Una visione, che comprende anche i dubbi circa le conseguenze prodotte dai tagli dei fondi ai Comuni, non certo in linea con quella del nuovo governo regionale e, soprattutto, del suo azionista di maggioranza.

È pur vero che uno studio non deve adeguarsi a chi governa al momento, tutt’altro. Ma se Cirio oggi dovesse uscire con sottobraccio la relazione dell’Ires e trovare in essa la bussola per tracciare la rotta della sua azione di governo del Piemonte, probabilmente sarebbe come se il governatore navigasse nel triangolo delle Bermuda.

Un Piemonte che cresce meno di altre regioni e questo lo si sa, purtroppo, da tempo. Fatta grazia del ricordare (nel caso qualcuno lo avesse scordato) che il fumo fa male, dalla relazione alla voce sanità si evince, tra l’altro, che “il Piemonte ha un sistema sanitario che funziona ed è uscito dal piano di rientro con un buon rapporto qualità-prezzo”. Tutto bene? Macchè: “Nonostante gli sforzi degli ultimi anni, il cambiamento atteso nei percorsi di salute e nell’assistenza socio-sanitaria è ancora troppo lento” e “l’innovazione della rete ospedaliera deve vedere portare a termine i progetti”, visto che – altra rivelazione – “il 65% degli ospedali è obsoleta”. Sembra segnare qualche ritardo, lo studio, nel prevedere – sempre restando in tema di sanità – che “presto emergerà un problema legato alla carenza di medici e infermieri”, indicando che “per affrontarlo occorre fin da adesso fare una buona programmazione dell’offerta formativa ai diversi livelli”. In realtà quel problema già sussiste e non da oggi: l’altro giorno il nuovo assessore alla Sanità Luigi Icardi è piombato a Novi Ligure dove era stato chiuso un reparto per mancanza di ortopedici e ha promesso di riaprirlo chiamando (e ovviamente pagando) camici bianchi dalla Lombardia.

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Per il resto, la fotografia scattata, sotto tutte le angolazioni, presenta una regione che, tra luci e ombre, fatica a trovare un proprio profilo e a proiettarsi verso il futuro. Dai dati economici e produttivi ai principali fenomeni sociali che ne segnano la mutazione nella composizione demografica, il Piemonte per quanto green vede ancora piuttosto grigio. Lo si rileva gettando lo sguardo al cruscotto che misura la posizione relativa ai vari obiettivi di Agenda 2030 e nel prospetto che riporta gli indicatori positivi e negativi.

Situazioni al limite della sostenibilità, per usare il vocabolo mainstream che connota la relazione annuale, e nulla di nuovo sotto il sole. Come del resto conferma lo stesso studio dell’Ires attestando sì la resilienza (altra parola che fa fine e poco impegna) del Piemonte, ma spiegando quel che si sa da tempo: la regione tiene, ma meno rispetto alle altre del Nord.

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