TRAVAGLI DEMOCRATICI

Pd, resa dei conti in nome dell'unità

La maggioranza zingarettiana vuole cacciare i renziani dai vertici delle federazioni. Il capogruppo regionale Ravetti chiede la testa del segretario alessandrino Scarsi. "Ci vuole un nuovo gruppo dirigente allineato". E nello scontro ci finisce pure Furia

Alla faccia dell’unità. Nicola Zingaretti da quando è arrivato al Nazareno non ha smesso di invocarla lanciando appelli. I suoi in Piemonte seguono l’esempio, ma lanciando siluri. Il primo è diretto contro il segretario provinciale di Alessandria Fabio Scarsi, renziano, discepolo di Enrico Morando e come l’ex viceministro schierato alle primarie con la coppia Roberto Giachetti e Anna Ascani. A chiedere, per primo, con un post su facebook, le dimissioni di Scarsi è stato Domenico Ravetti, il quale appena incassata la rielezione con voto quasi unanime a capogruppo a Palazzo Lascaris non ha neppure avuto bisogno di leggere Sun Tzu per ringraziare, a modo suo, per quel via libera alla sua riconferma i renziani (o quel che resta di loro dopo esserlo stati): senza scomodare l’Arte della guerra, basta un titolo a caso di un film di cassetta anni Settanta dove c’è il classico cornuto e mazziato per sintetizzare l’esito della strategia zingarettiana sugli ex Matteo boys.

Un siluro quello lanciato da Ravetti - con al periscopio a dare le coordinate l’ex senatore, oggi tesoriere regionale Daniele Borioli e servente al pezzo Otello Marilli, papabile futuro segretario - che certamente non sarà l’unico cui dovranno far attenzione coloro che non stanno con Zingaretti, ma che rischia concretamente di vedersi cambiare la rotta, trasformarsi nel celebre ombrello di Altan e colpire proprio uno zingarettiano doc come il segretario regionale del partito Paolo Furia.

“Non mi spaventa certo l’idea di un congresso. Però se lo si vuol fare, lo si faccia a livello regionale. Mi si imputano responsabilità sul risultato delle ultime elezioni, ma è colpa di Scarsi se in tutto il Piemonte è stata una sconfitta disastrosa, se da due parlamentari europei siamo passati a non neppure uno?” contrattacca il segretario mandrogno. Non lascia spazio a possibili interpretazioni di convenienza quel suo:   “Nessuno si senta escluso”. A incominciare proprio da Furia.

Ecco, forse una leggiucchiata a Sun Tzu sarebbe stata opportuna. Invece, prima Ravetti apre il fuoco con il post in cui criticando la mancanza di “assunzioni di responsabilità singole e collettive e la consapevolezza dei limiti” spiega che “questa segreteria provinciale non può più condurre in termini unitari il Partito e farebbe bene ad ultimare il suo percorso”, poi tocca alla componente zingarettiana del Pd mandrogno, rappresentata al tavolo oltre che dallo stesso capogruppo, da Borioli e da un Agostino Gatti ancora impegnato a digerire a suon di maloox la mancata quanto ambìta presidenza della Fondazione Cassa di Risparmio di Alessandria.

In una nota chiedono “un congresso straordinario entro ottobre” con l’obiettivo di rilanciare il radicamento e la funzione politica del partito e formare un nuovo gruppo dirigente, quanto più possibile unitario e coerente con gli indirizzi politici stabiliti dal nuovo segretario Zingaretti”.

Chiamala, se vuoi, resa dei conti. Che, se si fanno senza l’oste, possono riservare sorprese. Alcune reazioni tra notabili regionali e parlamentari piemontesi di quell’area che ha ceduto – eccezion fatta per Daniele Valle e Domenico Rossi – alla proposta avanzata da Furia di riconfermare Ravetti e mandare alla vicepresidenza del Consiglio Mauro Salizzoni, sono improntate a un contenuto nervosismo, altre lascerebbero presagire venti di tempesta. Di certo l’area ex renziana appare tutt’altro che compatta nel difendere il soldato Scarsi e con lui un fronte altrimenti sempre più esposto all’avanzata dell’ala sinistra.

Ridurre a una mera questione provinciale, quella che a molti appare chiaramente come una strategia per la conquista delle varie province – alcune delle quali già senza guida – in effetti risulta una visione miope. Così come registrando i commenti in casa renziana non può non leggersi diversamente da un esplicito riferimento al disegno dell’ex senatore e già assessore ai Trasporti della giunta di Mercedes Bresso di costruire le condizioni per una sua ricandidatura in Parlamento. E poi la stoccata di Scarsi e del fronte a suo sostegno nel ricordare quel che tutti sanno, ovvero che “le regionali si sono perse sulla sanità”, materia che Ravetti ha maneggiato per quattro anni dallo scranno di presidente di commissione.

Da un altro scranno, quello di via Masserano, per ora non arrivano segnali sulla questione alessandrina che solo tale, come detto, non è. Puntuale nel riferire sui social serate e vacanze in compagnia del compagno, il “compagno” Furia uso a far spesso precedere le riunioni di segreteria da una rapido snack con Borioli e Giusi La Ganga, non pare ancora aver battuto un colpo. Più interessante, almeno per i follower, la vacanza in Sicilia della questione in riva al Tanaro?

“L’arco di tempo compreso tra il 2017 e le elezioni di maggio ha visto il Pd della provincia di Alessandria arretrare vistosamente, sia sul piano del governo locale e della rappresentanza nelle istituzioni di livello superiore, sia per quanto riguarda il tessuto organizzativo e la capacità di costruire un solido quadro di alleanze, politiche e sociali, in grado di allargare il campo del centrosinistra”, accusano gli zingarettiani. “Sono preoccupato perché il Pd in questa provincia non è più in sintonia con le persone, nemmeno più con larghissima parte del suo elettorato”, scrive Ravetti chiedendo le dimissioni del segretario. Sempre il capogruppo, affrontando il tema della sconfitta lo scorso 15 giugno scriveva “sono dell’idea di evitare scontri e lacerazioni banalizzando le analisi con la ricerca dei colpevoli di tale disastro politico”. Un disastro che, come noto, non è stato circoscritto ai confini mandrogni. “Serve un’analisi seria? Bene. – ribatte il segretario nel mirino degli zingarettiani –. Ma nessuno si senta escluso”. Citofonare Furia.

print_icon