ECONOMIA DOMESTICA

Allarme Pmi, nessuna ripresa

Tutti gli indicatori congiunturali indicano il perdurare di una fase di stagnazione. Un anno all'insegna del pessimismo con meno investimenti e assunzioni. Alberto (Api Torino): "Dobbiamo essere capaci di sfruttare le risorse e avere le istituzioni al nostro fianco"

Le piccole imprese sono in allarme. “Le indicazioni che ci arrivano attraverso la nostra indagine congiunturale parlano chiaro: l’economia è nel pantano, gli ultimi sei mesi sono stati pessimi per le aziende e, soprattutto, non ci sono segnali di miglioramento da qui alla fine dell’anno”. È il commento del Presidente di Api Torino, Corrado Alberto. Alberto poi aggiunge: “È evidente che dobbiamo tutti assumerci la responsabilità di uscire da questa situazione. Dobbiamo certamente essere più capaci di sfruttare le risorse che abbiamo ed avere le istituzioni al nostro fianco”. Secondo il presidente dell’Api “è necessario un cambio di mentalità da parte di tutti:  imprese, lavoratori, rappresentanti delle istituzioni. Dobbiamo renderci conto che non è possibile risuscitare un passato dorato nel ricordo del quale forse per troppo tempo ci siamo cullati. Detto questo, è anche necessario ribadire che non sono più accettabili atteggiamenti di incuria nei confronti di chi, imprenditori e loro collaboratori, ha ancora oggi voglia di creare ricchezza e occupazione in Italia”. 

L’economia è in fase di stagnazione dopo un anno di progressivo rallentamento. Non indicano nessuna crescita i principali indicatori congiunturali, come la raccolta degli ordini, il fatturato, il livello di produzione. La produzione industriale si mantiene sui livelli di poco sopra lo zero, segnati a fine 2018. La capacità di utilizzo degli impianti continua progressivamente a ridursi, segnando il 71,9%. Gli investimenti subiscono una nuova battuta d’arresto, riducendosi di 14 punti percentuali rispetto a sei mesi fa (55% contro il precedente 69%), i livelli occupazionali hanno subìto una contrazione di 4 punti rispetto ai sei mesi precedenti, portando il saldo a -1,4%.  Non mancano i fattori di criticità: il fenomeno dei ritardi di pagamento è in progressiva attenuazione, tuttavia rimane ancora su livelli considerevoli: il 71,1% delle imprese vanta crediti scaduti e nel 48,7% si tratta di crediti scaduti da oltre 60 giorni.

Alberto punta il dito contro la politica e sottolinea come sia necessario “mettere mano da subito a strumenti che possano aiutare le imprese a ritrovare la strada dello sviluppo. A partire, per esempio, dal sostegno alle esportazioni, ma pensando anche all’infrastrutturazione del nostro territorio oltre che alla creazione di minime condizioni che consentano alle aziende di produrre con maggiore competitività”. “Nei primi sei mesi – spiega Fabio Schena, responsabile dell’Ufficio Studi che ha condotto l’indagine –  non c’è stato nessun segnale concreto di ripresa: gli indicatori sono fermi ai livello della fine dello scorso anno. Guardando da qui a sei mesi, invece, gli imprenditori ci hanno restituito un orizzonte pessimo nel quale la diminuzione degli investimenti e il calo dell’occupazione sono i dati più evidenti”. 

A preoccupare sono in particolare le previsioni sul secondo semestre 2019, in cui prevale il pessimismo. Le previsioni sui livelli di produzione sono negative, nella misura del -12,7%. La capacità di utilizzo degli impianti continua progressivamente a ridursi, con la previsione di un’ulteriore e decisa contrazione nei prossimi mesi (70,3%). Sul fronte dei mercati esteri si attende una discreta ripresa, ma non sufficientemente robusta da risollevare il deteriorato clima di fiducia degli imprenditori. Si riducono le imprese che avvieranno nuovi inserimenti in azienda: dal 45,6% di sei mesi fa all’attuale 39,5%. Per quanto riguarda la tipologia di inserimenti, rimane stabile al 17,3% il contratto a tempo indeterminato, mentre cala in modo vertiginoso il contratto a tempo determinato (dal 33,8% al 7,4%), fortemente penalizzato dal cosiddetto Decreto Dignità: alla scadenza non sembra corrispondere una trasformazione del contratto a tempo determinato in tempo indeterminato (fermi al 17,3) ma il mancato rinnovo.

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