Non si fa politica per via giudiziaria

Eliminare l’avversario politico cavalcando la via giudiziaria o attraverso la cosiddetta “scorciatoia” giudiziaria è un vecchio vizio della politica italiana. Attorno a questo tema si è consumato un dibattito lungo e articolato che accompagna la dialettica politica del nostro paese da molto tempo. Certo, è una prassi che appartiene, quasi di diritto, alla tradizione, alla cultura, al metodo e alla prassi della sinistra giustizialista italiana. Dai tempi della Democrazia Cristiana in poi questo è stato un metodo che ha mischiato questione morale, giustizialismo a buon mercato, moralismo d’accatto e speculazione politica. Gli esempi sono talmente tanti che è quasi inutile ricordarli. Non c’è che l’imbarazzo della scelta.

Ora, per non fermarsi alla storia, anche solo recente, forse è opportuno ricordare almeno due aspetti che dovrebbero restare centrali in una democrazia adulta e matura come la nostra. Anche se, come già diceva Aldo Moro a metà degli anni settanta, “l’Italia resta un paese dalla passionalità intensa ma dalle strutture fragili”. Cioè, con una struttura democratica sempre esposta al rischio della deriva autoritaria.

Il primo aspetto, quindi, resta quello di non confondere mai la fisiologica dialettica democratica, cioè la politica, con il moralismo. Soprattutto quando è funzionale solo e soltanto per coltivare un disegno di potere. L’eliminazione dell’avversario politico per via moralistica strumentalizzando il lavoro indipendente, necessario e prezioso della magistratura, rischia di produrre effetti sempre poco incisivi. Anche perché, come ci ricordava il vecchio Nenni, in “politica c’è sempre un puro più puro che ti epura”.

In secondo luogo la politica è credibile se si ferma sul terreno esclusivamente politico nel confronto e nello scontro con l’avversario. Non mi ha sorpreso, al riguardo, leggere che dopo due settimane di bombardamento mediatico di alcuni organi di informazione e di alcuni partiti sul cosiddetto “affare russo”, apprendere da tutti i sondaggi che la Lega di Salvini ha incrementato i suoi consensi di quasi 2 punti avvicinandosi sempre di più al 40%. Verrebbe da dire, tutto secondo copione.

Ecco perché, anche se il tema è antico e ben noto alle cronache, è sempre opportuno e consigliabile – come mi hanno insegnato i miei maestri, a cominciare da Carlo Donat-Cattin in epoche dure e difficili – che un politico, a qualsiasi livello e in qualsiasi occasione, si fermi sul terreno politico nel condurre la propria legittima e sacrosanta battaglia. E questo per la credibilità della politica da un lato e, soprattutto, per ridare qualità alla democrazia e serietà alla stessa lotta politica dall’altro. Al di là dei moralismi, delle strumentalizzazioni e della ridicola e grottesca “superiorità morale” avanzata da qualche parte politica.

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