C'è chi rimpiange la Dc

Fa un certo effetto, non si può non ammettere, osservare che i detrattori storici della Democrazia Cristiana e tutti coloro che negli anni hanno liquidato quella straordinaria esperienza politica come un fatto di malcostume, di corruzione, di malgoverno o addirittura come una parentesi criminale, adesso non sanno più come fare per esaltarne il ruolo, la funzione e il progetto politico e di governo che ha saputo dispiegare nella storia politica italiana.

Intendiamoci, è un’operazione orchestrata dalla sinistra culturale, politica, salottiera, alto borghese e accademica italiana che viene fatta esclusivamente per demolire la Lega di Salvini e tutto ciò che può dar fastidio alle sorti magnifiche e progressive della medesima sinistra. Si rimpiange la Dc per demolire Berlusconi ieri e Salvini oggi. Lo sappiamo tutti, ma tant’è. È una pura operazione strumentale perché è decisamente curioso, nonché singolare, ascoltare gli epiloghi della filiera Pci/Pds/Ds infilarsi in una sorta di rimpianto dell’esperienza politica, culturale e di governo della Democrazia Cristiana. Non ci crede nessuno, com’è ovvio, ma è un’operazione puramente strumentale – appunto – per arrivare a una banale conclusione: ovvero, in soldoni, pur di “criminalizzare” l’attuale destra siamo addirittura disposti a riabilitare storicamente, ma non politicamente, l’esperienza quarantennale della Democrazia Cristiana e addirittura della sua classe dirigente.

Però, e questa è la vera novità inerente questa riflessione oggi, al di là delle considerazioni della “sinistra al caviale” e dei suoi vari esponenti di punta nei vari giornali, testate televisive e pulpiti mediatici, è indubbio che la riabilitazione, o il rimpianto o la voglia di avere nuovamente un partito che sappia essere una forza di governo vera, con una classe dirigente qualificata e preparata, con una grammatica istituzionale e culturale non indifferente e, soprattutto, con uno “stile” lontanissimo da quello che caratterizza i protagonisti dell’attuale stagione politica italiana, si diffonde sempre di più nella società. E in modo trasversale. Nessuno, com’è ovvio, vuole ritornare indietro e nessuno, ancor di più, pensa o spera di riproporre una sorta di neo Democrazia Cristiana. Anche perché, come ha detto più volte uno dei leader più qualificati di quel partito, Guido Bodrato, “la Dc è stata un prodotto storico” e si può paragonare a una “sorta di vetro infrangibile che quando si è rotto è andato in mille pezzi e quindi non si può più ricomporre”. Una analisi pertinente e quanto mai azzeccata.

Ma la sensazione, sempre più diffusa, di una voglia di riavere una politica, cioè un partito, che sappia interpretare quello stile e quel ruolo nella geografia politica italiana è sempre più insistente, appunto. E quindi, senza ricercare le motivazioni – peraltro abbastanza comprensibili – della “voglia” di Democrazia Cristiana, l’unica considerazione conclusiva che voglio fare è questa. Almeno per onestà intellettuale, lasciamo agli eredi di quella storia e a chi non l’ha mai considerata un’esperienza nefasta, o squallida, o criminale, la facoltà di rileggerla o riproporla in termini radicalmente rinnovati e diversi nell’attuale stagione politica italiana. Senza rimpianti e senza nostalgia, come ovvio, ma anche con la consapevolezza che non si può, soprattutto oggi, gettare alle ortiche un’esperienza politica, culturale, umana e forse anche etica che ha contribuito, con altri, a migliorare, ad arricchire e a consolidare la democrazia e a garantire lo sviluppo nel nostro Paese.

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