FINANZA & GIUSTIZIA

Ubi Banca alla resa dei conti

Utile netto semestrale -37,3%. I vertici in carica da dodici anni hanno prodotto una distruzione di valore. Il titolo è precipitato, i tagli del personale e le esternalizzazioni proseguono. E incombe la sentenza dei giudici di Bergamo che potrebbe azzoppare la governance

Nei giorni scorsi sono state diffuse le semestrali dei principali istituti bancari italiani. Tutti i gruppi risentono degli scenari negativi della crisi economica del paese, del nostro altissimo debito pubblico, dell'incertezza politica, culminata con la crisi di governo, dell’isolamento dell’Italia nel contesto dell’Unione Europea,  della congiuntura internazionale negativa. Ma i risultati di Ubi Banca sono particolarmente deludenti. Il gruppo, costituito nel 2007, opera sul territorio nazionale con una rete di 1.638 sportelli e 20.242 risorse; per dimensioni è il quarto gruppo nazionale, preceduto da Unicredit, Intesa Sanpaolo e Banca Popolare di Milano; è leader di mercato a Bergamo e Brescia, e in Piemonte è presente attraverso la rete della ex Banca Regionale Europea.

L’utile netto del primo semestre 2019 è pari a 183 milioni di euro, con un calo del 37,3% rispetto ai 222,1 milioni del 2018;  il calo sarebbe motivato, secondo il ceo Victor Massiah,  dalla cessione di crediti in sofferenza per 900 milioni lordi.  La raccolta diretta è stata pari a 94,8 miliardi, da 92,6 del 2018. Il titolo azionario, che nel 2007 era a 17 euro, è costantemente calato, sino a ridursi a 2,1 euro alla chiusura del 9 agosto: una vera e propria distruzione di valore. Non tutti sanno che il 53% del capitale di Ubi Banca è detenuto da fondi equity stranieri; molti addetti ai lavori si domandano non se, ma quando i fondi imporranno un radicale cambiamento nella governance del gruppo.

Non sarebbe corretta una comparazione tra Ubi e i primi due gruppi, Unicredit e  Intesa-Sanpaolo, nelle cui holding prevale la dimensione internazionale rispetto a quella italiana.  È invece interessante il confronto con la Banca Popolare di Milano (Bpm), costituito nel 2017, che precede per dimensioni Ubi, sia pure non di molto. Tra le ragioni dell’incremento dell’utile, si legge nella relazione della semestrale Bpm, la realizzazione diverse plusvalenze lorde, a partire da quella relativa alla riorganizzazione del comparto del credito al consumo.

 

 

Ubi Banca

Bpm

Capitale sociale

2,3 mld

7,1 mld

Rete filiali in Italia

1.630

2.300

Risorse umane

20.242

25.000

Utile netto semestrale

183 mln (-37,3%)

593,1 mln (+68,2%)

 

Un confronto quantomeno imbarazzante. E si potrebbero aggiungere raffronti con altri gruppi di dimensioni minori ma con performance migliori rispetto ad UBI Banca, ad esempio l’ottimo Credem.

 

Ma c'è di più... sul piano giudiziario

È infatti in pieno svolgimento, presso il Tribunale di Bergamo, il processo a carico di una trentina di amministratori e dirigenti di Ubi (in carica  o "spintaneamente" dimissionari), tra i quali, in ordine di importanza, il ceo  Massiah, al vertice del gruppo dalla sua costituzione, e il presidente emerito di Intesa Sanpaolo Giovanni Bazoli, per decenni leader della finanza cattolica italiana. I reati contestati sono assai gravi: ostacolo alle attività di vigilanza e manipolazione di assemblea; la Consob si è costituita parte civile.

Riavvolgendo la pellicola, Ubi Banca era stata costituita nel 2007 in seguito alla fusione per incorporazione del Gruppo Banca Lombarda e Piemontese, bresciano, nel Gruppo Bpu, Banche Popolari Unite, bergamasco. L’operazione era stata decisa in funzione difensiva rispetto ad una minacciata opa ostile del  Banco di Santander sul gruppo bresciano, che era una Spa quotata in borsa; non sarebbe stata più scalabile, una volta assorbita da Bpu, in quanto le normative allora vigenti in tema di governance delle banche popolari erano rette dal principio del voto capitario. Come previsto, il Santander orientò altrove i suoi investimenti. Ma i bresciani ed i bergamaschi si accordarono nel senso che ciascuno avrebbe continuato a comandare in casa propria. Fu costituito un gruppo di sei amministratori più eguali degli altri (tre di Brescia, tra cui Bazoli, e tre di Bergamo), che riunendosi in sedi private e in gran segreto decidevano su tutto, dalla regia delle assemblee per eleggere il Consiglio di Sorveglianza alle questioni di competenza del Consiglio di Gestione delle singole banche e società controllate. A un certo punto la Banca d’Italia chiese formalmente a Ubi si vi fosse qualche patto di sindacato, e il gruppo dei sei, riunito alla vigilia dell’audizione, decise di negarne l’esistenza, parrebbe anche su istruzione di Bazoli.  Ma uno dei sei componenti del comitato segreto aveva l’abitudine di redigere con precisione i verbali di ogni riunione: la Guardia di Finanza li trovò nel corso di una perquisizione all’alba presso il domicilio del professionista. Tali verbali sono la prova regina che ha indotto il procuratore generale di Bergamo a chiedere il rinvio a giudizio di una trentina di amministratori e dirigenti, e il gip a disporlo. Questo per il reato di ostacolo alle attività di vigilanza.

Il secondo reato è quello di manipolazione di assemblea, e si riferisce all’assemblea di rinnovo cariche del 2013. I vertici uscenti avevano molte buone ragioni per temere di essere sfiduciati, dati i pessimi risultati (utili al minimo, caduta verticale del titolo). Erano sfidati da due liste molto forti. Come detto in precedenza, la regola era di “una testa, un voto”. Ogni socio-elettore poteva avere la delega nominativa di altri cinque soci, e votare anche per loro; per legge non erano consentite deleghe in bianco. Ma i vertici mobilitarono la rete per indurre inconsapevoli soci a presentare al desk di accoglienza alcune migliaia di deleghe in bianco, che si aggiunsero ai circa 2.500 soci presenti fisicamente ed assicurarono la conferma agli amministratori uscenti. Tutta l’operazione, gestita con il supporto di un’azienda informatica esterna, per un costo di 180mila euro, fu a carico del gruppo e coordinata da suoi dirigenti.

Le liste escluse presentarono denuncia alla magistratura, e così ebbero inizio le indagini del Nucleo Speciale di Polizia Valutaria della Guardia di Finanza, le cui risultanze sono oggetto del processo in corso.  Il Tribunale di Bergamo è assai più rapido rispetto a quelli di grandi centri, e la sentenza potrebbe essere emessa in tempi brevi. In caso di condanna, secondo molti osservatori Massiah non si vedrebbe più riconosciuti dalla Banca d’Italia, sulla base delle regole della Banca Centrale Europea, i requisiti di onorabilità e indipendenza richiesti per ricoprire incarichi di vertice in banche di sistema, qual è Ubi, a maggior ragione in seguito a reati incompatibili con l’etica bancaria.

 

E come se non bastasse...

È dei giorni scorsi la decisione del gruppo di avviare un processo di esternalizzazione consistente, come si legge in un comunicato unitario dei sindacati, “nel trasferimento dei rami di azienda di Ubi Sistemi e Servizi S.c.p.a., relativi alle attività di cassa centrale, assegni, bonifici, corporate banking interbancario, tributi e previdenza, trasferimento dei servizi di pagamento, carte, attivazione e cancellazione di ipoteche, archivio casellario e spedizioni”. I rami di azienda sarebbero trasferiti ad Accenture Service e a BCube. Le operazioni coinvolgono le piazze di Cuneo (dove Ubi, un tempo leader di mercato, riveste un ruolo ormai marginale), Bari, Bergamo, Brescia, Chieti, Jesi, Milano, Pesaro. I sindacati l’hanno presa molto male, anche perché l’annuncio prescinde dal prossimo piano industriale in fase di elaborazione, ed intendono tutelare le professionalità del personale ed i livelli occupazionali.

Insomma, in casa Ubi tutto è buono per ridurre i costi e far cassa: dalla chiusura di sportelli al taglio del personale, a nuove politiche di pricing  a svantaggio della clientela. Per ora, di risultati non se ne vedono molti, a parte la crescente disaffezione della clientela. Massiah si è detto fiducioso nel futuro e lieto dei risultati conseguiti nell’ultimo anno. Contento lui... Date le premesse, l’ora del redde rationem non sembra lontana.

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