DIRITTI & ROVESCI

Ferragosto dietro le sbarre,
la buona politica va in carcere

Giachetti a Novara con don Campiotti, a Cuneo sindaco e vicesindaco. Nel solco della migliore tradizione radicale il garante dei detenuti Mellano denuncia un sistema prossimo al collasso. Sovraffollamento, personale sotto organico, strutture fatiscenti

Buttare via la chiave e marcire in galera. Si fa presto a dirlo – come capita spesso a Matteo Salvini – e si prendono applausi e voti. Però, ci vuole di più a girarla la chiave e vedere quel che non è un mistero: “Il sistema carcerario italiano è quello che costa di più in Europa e quello che dà peggiori risultati, con la recidiva più alta”. In Piemonte le carceri sono 13 distribuite in 12 città (Alessandria ne conta due) e il quadro è in linea se non, in alcuni casi, peggiore rispetto alla media del Paese: “Manca personale e non solo negli organici della polizia penitenziaria, sono pochissimi gli interpreti per capire cosa dicono gli stranieri. E poi le strutture: vecchie se non antiche, si investe poco in manutenzione e questo ha un peso sia sui detenuti, sia su chi in carcere lavora”.

Bruno Melano da cinque anni è il garante regionale dei detenuti e delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà. Storico militante radicale, deputato eletto nelle liste della Rosa nel Pugno nella XV legislatura, consigliere regionale dal 2000 al 2005 per la lista Bonino-Pannella, questa mattina “alle otto e mezzo, per avere tempo” varcherà i cancelli del Lorusso Cotugno alle Vallette. Come tante altre volte nell’esercizio del suo incarico, ma oggi è Ferragosto e i radicali fedeli alla tradizione, in collaborazione con l’Osservatorio delle Camere penali e dei garanti, vanno dietro le sbarre. In quel mondo che una parte della politica di oggi spesso invoca, ma altrettanto spesso pare non conoscerne la realtà, non di rado ai limiti della dignità umana, salvo incocciarla se non direttamente, comunque da vicino. E, solo in quel momento, comprendere la differenza che c’è tra la giusta durezza della pena e il declinare del rispetto, appunto, della dignità.

Mellano, Ferragosto in carcere non è certo un invito allettante. C’è da scommettere che non saranno molti quelli che hanno aderito.
“Dei parlamentari so che ci sarà Roberto Giachetti. Andrà a Novara insieme al garante comunale, don Dino Campiotti, una persona eccezionale. Poi a Cuneo entreranno nel carcere insieme a militanti radicali e anche in quel caso al garante, il sindaco Federico Borgna e la sua vice Patrizia Manassero. I parlamentari, così come i consiglieri regionali possono comunque presentarsi nella loro funzione ispettiva in qualunque momento, quindi non escludo che qualcuno possa farlo. Ho invitato il presidente della Regione e quello del Consiglio regionale. Sia Alberto Cirio sia Stefano Allasia sono stati molto cortesi e disponibili a occuparsi del tema, anche se non il giorno di Ferragosto, ma è comprensibile. Poi con Cirio io ho condiviso la battaglia per riaprire il carcere di Alba, è stata dura, ma ce l’abbiamo fatta”.

Resta parecchio da fare, però. Il problema del sovraffollamento ormai è atavico in Italia. Il Piemonte com’è messo?
“Abbiamo circa 4.400 detenuti a fronte di una capienza di 3.900”.

Cinquecento carcerati in più oltre il limite non sono pochi.
“No, ma non è solo quello delle condizioni di vita in carcere dovute a una popolazione che eccede la capienza ad essere un problema. Se si passa il limite saltano tutti gli schemi e così diventa normale che i nuovi giunti, quelli che entrano, finiscano insieme all’ergastolano, che le misure previste per chi è in attesa di giudizio non possano essere rispettate. E poi il personale: a Torino ci sono 14 educatori, ognuno di loro deve seguire più di cento detenuti, come fa?”.

E questo accade in strutture che, come lei ha più volte denunciato, sono state costruite parecchi anni fa. Servirebbe costruirne di nuove in Piemonte?
“Tutte, se si fa eccezione per tre padiglioni a Cuneo, Biella e Saluzzo, sono vecchie e in alcuni casi addrittura antiche. Se non se ne possono costruire di nuove, almeno si faccia la manutenzione che serve. Le faccio un esempio di come vanno le cose: nella sezione femminile di Torino da cinque anni, cinque anni non cinque mesi, l’ascensore e il montacarichi sono rotti. Per portare i pentoloni con il cibo si devono fare tre rampe di scale, con tutti i rischi per detenuti e personale. E poi siamo da tempo anche senza il provveditore”.

Cioè manca il vertice del sistema carcerario piemontese?
“Certo. Manca il dirigente che sovrintende sulla nostra regione insieme a Liguria e Valle d’Aosta, il sistema è senza testa e il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria continua a non fare la nomina”.

Qual è il carcere messo peggio, il primo della classifica negativa?
“Non è facile rispondere. Spesso nella stessa struttura ci sono cose molto positive, come progetti di formazione, attività lavorative e poi troviamo locali fatiscenti. Ci sono eccellenze e buchi neri insieme. Poi ci sono le statistiche sbagliate”.

Come sbagliate?
“Il ministero nel calcolare la capienza non tiene conto di riduzioni temporanee dovute magari all’impossibilità di utilizzare alcuni locali. Così capita che a Cuneo la capienza ufficiale sia di 430 posti, ma in quella cifra è compreso un padiglione, chiuso ormai da dieci anni. Ufficialmente risulta utilizzabile”.

Parliamo degli stranieri, un terzo circa della popolazione carceraria in tutto il Paese, giusto?
“Sì, su 60.500 sono circa 20mila. Ma è un dato non omogeneo: per una serie di scelte ci sono alcune regioni tra cui il Piemonte, dove la percentuale è molto più alta. Noi abbiamo istituti dove la presenza di stranieri arriva al 50, 60 e anche 70 per cento. Questo impone programmi adeguati: non puoi fare il corso per geometri, devi fare alfabetizzazione, insegnare l’italiano. E poi le misure alternative che si basano su una rete esterna risultano spesso non applicabili agli stranieri, perché non hanno casa o famiglia, né persone che li possono aiutare. Quindi è ancora più difficile fare percorsi che tendano a ridurre la recidiva”.

Gli stranieri significano anche rischio di radicalizzazione, proselitismo per i terroristi. Ormai non se ne parla quasi più, come se il pericolo fosse scomparso, ma esiste. Le carenze strutturali e di organico possono incidere anche su questo aspetto della sicurezza. Non si sottovaluta il problema?
“Certamente. Oltre ad avere carenza negli organici della polizia penitenziaria, mancano mediatori e interpreti. Senza personale che conosca le lingue non capiamo cosa si dicono, cosa succede e cosa può succedere. Su questo tema l’amministrazione penitenziaria è molto riservata, ci firnisce pochi dati per approfondire. Solo dopo insistenze ci hanno detto che sono 350 i detenuti monitorati in tutte le carceri italiane. E devo dire che mi sembrano pochi”.

C’è un ministro dell’Interno che di fronte a delitti, senza dubbio efferati auspica che si butti la chiave e si marcisca in galera. Senza scomodare Cesare Beccaria e la Costituzione, come si risponde senza passare per chi vorrebbe tutti fuori e nessuno dietro le sbarre?
“Che le frasi ad effetto e le soluzioni apparentemente semplici sono le risposte sbagliate al problema. Il nostro sistema penitenziario è il più caro in Europa e quello con la recidiva più alta. Fosse un’azienda avrebbe dovuto già dichiarare il fallimento”.

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