Una morte da idioti

La stagione autunnale è inevitabilmente quella che più di altre stimola i bilanci personali. Terminata la breve epoca dell’oblio steso su ogni cosa, il brutale rientro alla quotidianità comporta di regola giuramenti di cambiamento e buoni propositi per i mesi a venire.

L’estate invece benedice il fiume di persone che abbandona lavoro e residenza per mettersi all’ossessiva ricerca di natura e relax. Le oasi di pace sono a disposizione di tutti e in base alla disponibilità economica le opzioni possibili offrono una vasta gamma di scelta: dai parchi posizionati dentro e fuori le nostre città ai lidi esotici orientali passando per i tour enogastronomici.

Qualunque sia stata la meta vacanziera, il Parco delle Mandria come Sharm el-Sheikh, il ritorno a casa scatena ricordi nostalgici, molti dei quali, i più belli, sono senz’altro legati a emozioni suscitate da paesaggi incontaminati e rari profumi (emozioni cha abbracciano anche chi ha scelto una vacanza fatta di apertivi e locali notturni).

Il verde delle valli alpine oppure l’azzurro cristallino del mare Mediterraneo sono colori molto utili al nostro benessere, specialmente quando pennellano toni vivaci su settimane dalle giornate brevi e segnate da gelo alternato a nebbie, che sfiorano l’asfalto metropolitano.

La natura allunga sempre una mano in aiuto a chi si prepara a contrastare il generale Inverno, concedendo spettacoli affascinanti pure tra stalattiti di ghiaccio e alberi brulli. È lei a condurci al desiderio di rinascita settembrino. Nel farlo chiede a noi piccoli esseri umani una sola cosa, ossia avere sempre presente che viviamo in simbiosi con il pianeta, e che siamo parte di quella terra che sempre calpestiamo con insolenza e noncurante disprezzo.

Di norma si porta rispetto nei confronti di chi ha generato la nostra esistenza. A maggior ragione sarebbe quindi dovuto un riguardo particolare alla terra, nonché agli esseri viventi che abitano il pianeta, a prescindere dalla specie di appartenenza: nostri fratelli e nostre sorelle.

A questo punto chi legge potrebbe pensare che la rubrica “Cronache Marxiane” sia stata affidata a un hippy nostalgico, oppure a un opinionista caduto in una profonda crisi esistenziale di stampo francescano. Nulla di più sbagliato. Semplicemente, mi è stato sufficiente osservare spiagge un tempo ampie e ora gravemente erose dal mare, nonché gli effetti del fuoco che ha divorato intere foreste di abeti in Vallesusa, per provare un profondo senso di colpa verso il nostro straziato mondo.

Sguardi capaci di cogliere i segnali prodromici di una devastazione irreversibile. Colpi letali assestati con forza dagli essere umani; l’omicidio efferato di una Terra che da sempre nutre i suoi assassini con prezioso ossigeno e buonissima acqua.

Lo spazio siderale raramente ospita gli elementi essenziali alla vita. Averne in grande abbondanza è una fortuna immensa di cui la nostra specie non ha coscienza. Il genere umano si accorge delle meraviglie terrestri solo quando si annuncia un business derivante dal loro sfruttamento, o meglio dal loro saccheggio.

Sorgenti dall’acqua limpida e cristallina, buone da imbottigliare; litorali spettacolari, quindi ottimi per lucrare sull’uso delle spiagge e dei lettini; alberi maestosi che si elevano verso il cielo, utili per produrre carta o mobili. Le cavallette (di memoria biblica) sono state più clementi degli umani quando hanno distrutto per ordine divino tutto quello che incontravano sulla loro strada.

Stiamo segando un ramo standoci seduti sopra, mentre in basso un crepaccio spalanca le fauci per accoglierci con tutto il nostro bagaglio fatto di giganteschi quanto irrimediabili errori. Il mare, inquinato e pieno di plastica sino a formare isole grandi come intere porzioni del nostro continente, non riesce più a nutrire le tante specie ittiche. Le continue mattanze compiute dai pescatori stanno portando all’ estinzione quel che ancora vive e si riproduce negli oceani.

Delfini, balene e da poco tempo pure i pinguini vengono cacciati per soddisfare le esigenze dei consumatori. Vanità e desideri effimeri pagati a caro prezzo da un ecosistema oramai esausto. I banchi della grande distribuzione sono pieni di animali macellati a profusione, esseri viventi uccisi unicamente per dare lavoro agli inceneritori.

Oltre al dramma della scomparsa dei ghiacciai artici, le grandi distese verdi vengono azzerate per soddisfare coltivazioni intensive e speculazioni varie. Incendiare l’Amazzonia non significa esclusivamente togliere ossigeno al nostro mondo, ma anche perpetuare un genocidio le cui vittime sono esseri umani e le specie viventi divorate dalle fiamme.

Azioni folli protette dall’indifferenza collettiva di tutti quei consumatori impegnati, sia a tavola che soddisfacendo desideri ludici, a divorare con dovizia il pianeta boccone dopo boccone. Pasciuti menefreghisti intenti a mangiare anche le porzioni di tanti loro simili, da sempre ridotti alla fame nel cosiddetto Terzo mondo.

La Natura ci genera, ci grazia e ci mantiene in vita. Noi, figli psicopatici ed egoisti, per ringraziare di tanto amore affondiamo di continuo il coltello nel suo ventre, guardandola morire con perversa soddisfazione.

Uccidere la Madre terra è un suicidio di massa. Una fine da idioti.

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