Il senno della Regione

C’era un tempo, neppure troppo lontano, in cui le amministrazioni pubbliche avevano la pretesa (e la presunzione) di dettare le politiche culturali di una città e di una regione. In una perversa concezione dell’egemonia culturale, sindaci e assessori stabilivano canoni etici ed estetici, imponevano dottrine (e ideologie), spesso a senso unico; promuovevano soggetti e fratrie, spesso la solita cricca, mettendo al bando irregolari ed eretici. E lo facevano attraverso due potenti leve: i copiosi e discrezionali finanziamenti e la cooptazione in incarichi e nomine. È stata una lunga stagione di omologazione e conformismo intellettuale, le cui macerie sono ben visibili nelle principali istituzioni culturali torinesi e piemontesi. Un’epoca finita, se non altro perché nella mangiatoia la biada scarseggia e la burbanza degli intellos è in disarmo. Eppure c’è chi pare guardare con nostalgia a quel passato, invocando una robusta mano pubblica nel governo degli enti culturali. Anzi, a proposito della querelle sul Museo del Cinema, si arriva a criticare il nuovo governo della Regione, colpevole di non aver preso parte alla spartingaia, lodando invece chi, espressione di un grillismo di lotta e lottizzazione, ha le “idee ben chiare”. Uno strabismo che impedisce di vedere il risultato della “non ingerenza” praticata dall’amministrazione regionale: far scoppiare il bubbone tra le pareti domestiche. Come non cogliere che ciò che si sta verificando alla Mole è l’ultimo cascame di un sistema nato, cresciuto e pasciuto nella nidiata di Rondolino? Sarà pure un governo barotto, quello di Alberto Cirio, ma questa volta ci pare abbia mostrato molto più senno della sindaca Chiara Appendino e di certi suoi corifei: il senno della Regione.

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