L'Anci non è un fatto burocratico

È curioso e singolare il silenzio che aleggia attorno al congresso regionale piemontese dell’Anci e, più in generale, attorno al futuro e alla prospettiva di questa gloriosa ed importante Associazione dei comuni. Curiosa e singolare perché capita di rado che una fase congressuale non preveda alcun dibattito, alcun confronto, nessuna tesi attorno alle quali si articola una normale e fisiologica dialettica democratica e libera. Al riguardo, mi chiedo quale sia la "ragione" di fondo che giustifica lo svolgimento di un congresso privo di confronto tra i protagonisti. Certo, tutti conosciamo, almeno così mi hanno spiegato, quali sono i meccanismi che regolano un congresso stranamente silenzioso e sotto traccia. E cioè, ratificare un voto sugli organigrammi deciso da alcuni partiti al di là e al di fuori di qualsiasi confronto democratico. Fuorché qualcuno pensi che celebrare un congresso anonimo dove si eleggono gli organi di una associazione sia segno di grande vitalità democratica e di ricca partecipazione popolare.

Resta il fatto, però, né secondario e né scontato, che il Piemonte conta una presenza massiccia e significativa di comuni - i cosiddetti “piccoli comuni” - con sindaci che vengono eletti attraverso liste civiche che non sono riconducibili, per ovvie motivazioni, alla dinamica e alle logiche dei partiti. Stupisce, al riguardo, che il tutto passi in cavalleria senza rendersi conto che quel mondo rappresenta una ricchezza territoriale, culturale e politica che non può essere sacrificata sull'altare dei meri equilibri di potere di alcuni partiti.

Del resto, l’obiettivo principale e prioritario dell'Anci, associazione nata nel 1901, è quella di rappresentare e tutelare gli interessi dei Comuni di fronte a Parlamento, Governo, Regioni, gli organi della pubblica amministrazione, gli organismi comunitari, il Comitato delle Regioni e ogni altra istituzione che eserciti funzioni pubbliche di interesse locale. Anche per questi motivi, forse, sarebbe opportuno e anche necessario un impegno diretto del Sindaco di Torino per l'Anci Piemonte. E ciò per l'indubbia importanza della città da un lato e per dare ulteriore prestigio ed autorevolezza alla guida politica dell'Associazione subalpina dall'altro. A prescindere, com'è ovvio, da chi ricopre pro tempore questo incarico. E, accanto a questo dato, ma non meno importante, c'è il capitolo del rilancio concreto del pianeta dei cosiddetti piccoli comuni.

Due condizioni che meriterebbero, almeno a mio parere, un confronto e un dibattito aperto, libero, franco e trasparente tra i sindaci. Ma questo è possibile solo se si apre - o meglio, se si apriva - un dibattito nell'Anci. A livello regionale come a livello nazionale. Ma, per restare al solo Piemonte, di tutto ciò ad oggi non si ha traccia. E, considerato che il cosiddetto congresso regionale si svolge lunedì prossimo a Torino, permane il serio rischio che il tutto si trasformi in un momento puramente burocratico dove la stessa partecipazione degli attori principali si riduce ad un banale ed insignificante applausometro. Il tutto avvolto da un clima burocratico, grigio e protocollare. Ma l’Anci, almeno questa resta la mia opinione, non può diventare un mero segmento dell'apparato pubblico amministrativo. Sarebbe la sua fine politica e, soprattutto, sarebbe anche il tradimento della sua vocazione politica e culturale originaria. Che resta, se lo vogliamo ricordare ancora una volta, la capacità di mettere insieme enti piccoli e grandi, sia del nord che del sud, decidere di mettere insieme le loro esperienze e organizzare, al contempo, una rappresentanza politico/istituzionale non subalterna al potere accentratore dello Stato.

Insomma, anche dal congresso regionale dell’Anci Piemonte sapremo se questa gloriosa Associazione diventa un fatto burocratico, o poco più, o un momento di crescita politica, amministrativa e anche culturale.

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