A chi fa paura il Comunismo?
Juri Bossuto 07:45 Giovedì 17 Ottobre 2019
Negli anni ’90 un noto cantautore della Germania Est, costretto all’esilio nel settore occidentale, fu invitato dagli studenti di Comunione e Liberazione a tenere una lezione a Palazzo Nuovo. L’artista, Wolf Biermann, avrebbe dovuto raccontare la sua esperienza umana e politica in chiave anticomunista.
L’incontro non andò come avevano sperato i militanti cattolici poiché il cantautore, rivolgendosi a un’aula magna stracolma di giovani, disse parole inattese: lui non era scappato dal comunismo, bensì da un regime asfissiante.
L’artista aggiunse, tra gli sguardi attoniti degli organizzatori, che sino a quando vi sarebbero state ingiustizie sociali i principi marxisti avrebbero avuto ragione di esistere. Incalzato dalle domande del pubblico, il musicista volle condividere ancora un pensiero con l’uditorio (ero in quell’aula): “Magari cambierà nome, anzi sicuramente accadrà; forse modificherà i simboli che lo contraddistinguono, ma l’idea e i principi vivranno e torneranno a manifestarsi in ogni lotta di liberazione dalla miseria. Affrancarsi dalla schiavitù del capitale è comunismo, comunque lo si voglia chiamare”.
I ciellini accusarono un durissimo colpo, mentre la platea si manifestava con un clamoroso applauso.
Il voto favorevole espresso dal Parlamento europeo in merito alla mozione che propone di mettere al bando i simboli del comunismo, insieme a quelli del nazismo, è antistorico oltre che assurdo. I deputati europei si sono espressi in seguito a una lettura di parte, decisamente non veritiera, dei fatti che hanno segnato il Novecento. Quel simbolo ora fuorilegge raffigura il lavoro tramite gli strumenti usati quotidianamente dagli operai e dagli agricoltori; è la rappresentazione di una stagione complessa in quanto ricca di avvenimenti che spaziano tra slanci di grande generosità e tragedie.
I sovietici hanno subìto milioni di morti sui campi di battaglia come nei lager tedeschi, in seguito all’invasione nazifascista della Russia avvenuta nel 1941. Un violento attacco portato a Mosca che seguì alla capitolazione per mano di Hitler della Francia, della Polonia, dei Paesi Scandinavi e di tante altre nazioni. Erano gli anni delle leggi razziali italiane e della persecuzione delle minoranze etniche e sociali (coloro ritenuti “diversi”) volute dal regime nazista, che presto si trasformarono nell’orrendo genocidio di interi popoli.
Assurda l’approvazione di quella mozione, poiché soprattutto in Europa occidentale i partiti di matrice comunista hanno contribuito in maniera determinante a garantire la democrazia, frenando regolarmente le numerose tentazioni di ritorno ai regimi passati dei governi filo americani e pro Nato (le stragi neofasciste di piazza in Italia dovrebbero rammentarlo a tutti noi).
È inutile limitarsi ad accennare a quanto comunismo è insito nella Teologia della Liberazione, così come nelle difficili esperienze di società collettiviste maturate in alcuni stati asiatici o latinoamericani (ad esempio Salvador Allende in Cile): analizzare a fondo le differenze abissali tra l’ideologia social-comunista e quella nazional-socialista richiederebbe molto spazio e altrettanto tempo.
Semplice invece evidenziare la reale motivazione posta alla base della mozione in oggetto: la paura. Paura provocata ancora oggi dalla parola “Comunismo” nell’animo di chi lucra in speculazioni finanziarie o di chi sfrutta i lavoratori in cambio di salari da fame (come constatato recentemente a Terracina nel Lazio). Evidentemente la falce e martello sormontata dalla stella color oro incute più che mai timore tra le fila dei padroni globali.
I detentori della ricchezza mondiale sono convinti che rimuovendo i simboli pure l’idea scompaia, per essere infine dimenticata per l’eternità: nulla di più errato. Ingiustizia sociale e prevaricazioni da parte delle classi più ricche a sfavore di quelle deboli fanno rivivere speranza e solidarietà: cambieranno forse i simboli e le denominazioni, ma gli ideali rimarranno quelli nati nel 1848 o forse prima ancora, durante la Rivoluzione francese. Equiparare il comunismo al nazismo forse tranquillizza gli animi dei mercanti di esseri umani, però non azzera le gravi disparità tra i tanti poveri e i pochi ricchi sempre più ricchi.
Il documento approvato dal Parlamento di Strasburgo, ispirato probabilmente dal leader magiaro Viktor Orbàn, è la prova eclatante del pericoloso riemergere di una pseudocultura profondamente xenofobo-fascista. La marea nera ha colpito molti Paesi (Polonia, Ungheria, India, Stati Uniti, Brasile, Turchia e tanti altri ancora) ma anche alcune aggregazioni politiche nostrane.
Una virata a destra internazionale a cui corrisponde un parallelo incremento della miseria. Entrare in uno stato di povertà a volte significa venire momentaneamente attratti dal canto delle sirene votate ai nuovi nazionalismi (Dio, Patria e Famiglia), sinché nella delusione matura una presa di coscienza collettiva che inevitabilmente resuscita i valori solidali di classe.
In Kurdistan si combatte disperatamente contro il mondo intero nel tentativo di costruire la “Nuova Società”, laica ed egualitaria, mentre in Occidente la rivolta ha talvolta i tratti dei super eroi provenienti dai fumetti. Un tempo erano gli intellettuali insieme ai filosofi a fare scoccare l’ora dell’indignazione collettiva. Attualmente il ruolo di incendiari delle piazze tocca invece ai cartoni animati trasformati in opere cinematografiche.
L’anarchico del film “V per Vendetta”, in feroce lotta contro il regime fascista londinese in un immaginario futuro, ispirò “Anonimus” (gli hacker libertari) e la sua maschera venne spesso indossata dai giovani contestatori in corteo per le strade urbane. Ora invece tocca a Joker (l’antagonista socialmente sfortunato del ricco Batman) scaldare gli animi di chi è in cerca di uguaglianza e opportunità di riscatto. Non è invero casuale l’apparizione sul web e sui canali televisivi di Beppe Grillo in versione clown.
La qualità dei politici è decisamente peggiorata ma le rivendicazioni popolari, seppur affidate per ora a personaggi di fantasia, rimangono immutate nel tempo. Gli stessi “gilet gialli” o i ragazzi caricati violentemente dalla polizia a Londra nei giorni scorsi (notizia passata ovunque sotto traccia al contrario di quanto è avvenuto a Hong Kong) testimoniano come sia difficile uccidere gli ideali di giustizia sociale, con buona pace di coloro che con una mozione sperano di affossare 230 anni di Storia e di lotte popolari.