TRAVAGLI DEMOCRATICI

La "rigenerazione" allarma il Pd

Rilanciare lo spirito riformista e superare le correnti. Un manifesto promosso dal torinese Lo Russo assieme a un manipolo di amministratori agita il vertice del Nazareno. Che prontamente tenta di metterci il cappello, rischiando di snaturare l'iniziativa

Alla faccia della rigenerazione. Se quella cui guarda(va) con speranza una parte del Pd stanca di essere un partito balcanizzato che come un pugile suonato alla corda continua a prendere cazzotti da Luigi Di Maio e consapevole che o si fa qualcosa di veramente riformista oppure si lascia il boccino nelle mani di Matteo Renzi e della sua Italia Viva, finisce nell’ennesimo terreno di battaglia tra correnti con colpi bassi, reciproche rivendicazioni di paternità e primazìe dei capataz locali, c’è poco da stare allegri da quelle parti. Una rigenerazione (quella vera) che spaventa i vertici del Pd.

Troppi cappelli per una testa sola. Sono in tanti volerlo mettere su un’iniziativa che sarebbe dovuta essere il primo passo verso quella “rigenerazione del Pd” propedeutica a quella del Paese e che dovrebbe passare per un rinnovato ruolo preminente degli amministratori locali, ruolo che per decenni su la spina dorsale del centrosinistra.

“Rigeneriamo l’Italia”, il titolo del convegno fissato per domenica 10 novembre a Milano e preceduto da un manifesto in cui tra l’altro si spiega come “per rigenerare l’Italia abbiamo bisogno di rigenerare il Partito Democratico perché rappresenti il luogo del cambiamento. Il Pd è nato per quello e rischia di smarrire la sua strada riformista. Un Pd aperto al mondo delle professioni, alle nuove generazioni e capace di valorizzare e far crescere le esperienze locali. In questo quadro – si legge ancora, con evidente riferimento alle spinte verso un’alleanza organica e diffusa con i Cinquestelle – per riconquistare la fiducia dei cittadini la strada principale non può limitarsi ad estendere i perimetri delle coalizioni. Occorre rigenerare gli obiettivi e quindi i messaggi”. Iniziativa dietro la quale qualcuno vede profilarsi la sagoma del sindaco di Milano Beppe Sala, utile a preparare una sua (eventuale) discesa in campo nell'agone politico nazionale, che però sta raccogliendo consensi piuttosto trasversali nel partito.

Ma le intenzioni fanno presto a lasciare il posto alle ambizioni. La rete di sindaci e amministratori diventa, per l’ennesimo gioco di potere interno, da idea forte a strumento per i più logori ma sempiterni giochi di corrente in un partito dove anche chi non vuole morire grillino, rischia di avere come alternativa il suicidio politico. E in questo scenario, semmai se ne fosse sentito il bisogno, anche Torino con la prospettiva delle elezioni comunali del 2012 ne esce ulteriormente acciaccata sul lato sinistro.

È bastato che il capogruppo dem in Comune, Stefano Lo Russo insieme all’assessore della giunta meneghina Pierfrancesco Maran tra i promotori dell’idea di un superamento delle correnti e di una proposta politica innovativa postasse su Facebook il manifesto per scatenare il finimondo. Telefonate e scazzi, messaggi e contromosse. Ma quel post ha soltanto accelerato e messo ulteriormente in luce quel che attorno all’iniziativa si sta muovendo da giorni. “Con alcuni altri amministratori locali del Pd in giro per l'Italia, in questi giorni abbiamo interloquito per capire cosa fare in questo momento così difficile per la vita del partito – scrive Lo Russo –. Il rischio forte di perdere il profilo riformista indotto dall'alleanza con il M5s e una certa difficoltà a trovare una strada condivisa ed efficace che riporti al centro i nostri valori, le prospettive e le proposte sono alla base di una riflessione e di un documento che ho sottoscritto convintamente”.

Come lui, in Piemonte, hanno firmato il sindaco di Cuneo Federico Borgna (non più iscritto al Pd da anni), quella di Settimo Torinese Elena Piastra e ancora il primo cittadino di Grugliasco Roberto Montà. Firme che, ad incominciare da quella di Lo Russo per continuare con Borgna, potrebbero svanire se, come non è escluso, i segnali di quel che al Nazareno si sarebbe deciso di fronte a questa iniziativa si palesassero ancora più di quanto non lo abbiano già fatto.

Roma, intesa come vertice del Pd, stia fuori, altrimenti stiamo fuori noi: il senso di più di un messaggio scambiato ieri tra Torino e Milano. Ma Roma è entrata con gli scarponi nel terreno. Se poi saranno i décolleté della ministra (già vice di Zingaretti in segreteria) Paola De Micheli annunciata al convegno, nulla cambia. E proprio a un piemontese nella segreteria particolare della ministra come Andrea Pacella viene attribuito un ruolo nell’iniziativa che secondo Lo Russo avrebbe origine da un gruppo di amministratori. Tra questi c’è chi non nasconde tutto il nervosismo per quella che viene considerata come una sorta di occupazione da parte del vertice della segreteria, con un Nicola Zingaretti pronto a mettere per interposta persona il cappello sulla rigenerazione del suo partito.

Versioni contrastanti, scontri al calor bianco nella sera di Halloween dentro a un partito ormai sempre più di morti viventi. Volevano dare più occasioni alla classe dirigente di quei Comuni ormai ultimo baluardo contro l’offensiva del centrodestra e finiscono nell’ennesimo scontro interno, volevano superare le correnti e si ritrovano nel gorgo.

E se la rigenerazione allarma il Nazareno, la rifondazione annunciata da Zingaretti preoccupa gli ex renziani rimasti nel partito, o almeno buona parte di loro. Il segretario, insieme ad Andrea Orlando, sta spingendo molto sull'idea di una radicale ristrutturazione del partito che culmini con un congresso e parte di esponenti che stavano con Renzi si allarma e si chiede di cosa realmente si tratti. Parlamentari come il piemontese Enrico Borghi e sindaci come Dario Nardella, Giorgio Gori e Matteo Ricci, così come stesso capogruppo al Senato Andrea Marcucci mettono in guardia dalla tentazione di "tornare ai Ds". Il sospetto è che Zingaretti punti a riallacciare con gli ex Pd confluiti in Leu per costruire un soggetto più spostato a sinistra. "Se così fosse – è il ragionamento che circola – una parte degli ex renziani potrebbe andare altrove”. E a Renzi, che il 15 novembre a Torino lancerà l'organizzazione di Italia Viva, basterà restare seduto sulla riva del fiume o, se si preferisce, sulla strada per Canossa.

print_icon