Una sardina tira l'altra

Bologna ancora una volta è riuscita a stupire l’intera penisola italica, grazie a un inatteso colpo di scena architettato da alcuni suoi cittadini (un gruppo di trentenni amici da tempo). La folla che si è radunata in piazza Maggiore, nel capoluogo dell’Emilia-Romagna, ha spiazzato tutti. Gli stessi organizzatori del flash mob, voluto per creare una zona di fatto “desalvinizzata” nel giorno del comizio leghista in città, si aspettavano una risposta importante da parte della gente, ma non di tali dimensioni.

I promotori hanno infatti invitato i bolognesi a scendere in strada per contrastare fisicamente, e ancor più culturalmente, l’onda nera crescente nella società italiana. Una canzone di Lucio Dalla, citata nella dichiarazione di intenti delle Sardine, è forse la migliore sintesi delle motivazioni alla base dell’iniziativa stessa: “È chiaro che il pensiero dà fastidio, anche se chi pensa è muto come un pesce. Anzi è un pesce. E come pesce è difficile da bloccare, perché lo protegge il mare. Come è profondo il mare”.  

Non è allora casuale che tante persone si siano riconosciute sotto effigi che raffigurano il piccolo pesce azzurro, la cui caratteristica è quella di unirsi in banco per creare un effetto terrificante agli occhi dei grandi predatori marittimi: il modo che la Natura ha scelto per ricordare un principio vitale, ossia che l’unione fa la forza.

“Per troppo tempo vi abbiamo lasciato campo libero, perché eravamo stupiti, storditi, inorriditi da quanto in basso poteste arrivare”. Il manifesto che il movimento si è dato richiama concetti quali reazione, risposta, presa di posizione contro quella prepotenza propagandata quotidianamente dalla Destra estrema (quella salviniana e quella degli eredi di Pino Rauti raggruppati in Fratelli d’Italia).

Gli slogan che hanno riecheggiato sotto il cielo autunnale del centro di Bologna sono stati causa di una forte destabilizzazione interiore del leader leghista. Salvini ha accusato il colpo seppur dopo un attimo di disorientamento, al pari di un pugile messo alla corda da un gancio improvviso, mentre prendeva atto di una sua prima battuta d’arresto: per la prima volta il palcoscenico mediatico ha vacillato sotto i suoi piedi.

La prosopopea del Matteo leghista è stata miracolosamente contenuta dalla folla presente in piazza Maggiore: un super-ego compresso all’interno del palazzetto dove si teneva lo show/comizio verde, e messo a nudo davanti a un numero di sostenitori minore rispetto alle presenze di chi invece lo contestava.

L’ex ministro degli Interni da mesi occupa tutti i programmi di informazione e di cronaca delle reti nazionali. Raramente tra i giornalisti, così come tra i conduttori e gli opinionisti “ospiti in studio”, si eleva una voce di contestazione nei confronti del politico selfie man, di colui che di continuo si ritrae in video dal contenuto banale quanto ripetitivo.

Un fiume di parole, sovente insensate, si abbatte infatti da tempo sul ventre di una nazione allo stremo, neppure più in grado di emettere un sommesso grido di lamento. Una situazione disperata ma infine ribaltata da uno scatto di dignità che ha sconquassato i monologhi della Destra. A Bologna le Sardine hanno voluto riprendere la parola per rompere quel silenzio agghiacciante utile al proliferare della rabbia neofascista.

Il Verbo incontrovertibile, sentenze senza possibilità di appello, dichiarazioni esenti da qualsiasi replica, sermoni gridati in tv e nel mezzo di adunate sediziose, benedizioni e verità assolute: con questo armamentario a disposizione il sovranismo di matrice xenofoba era oramai abituato a compiacersi delle proprie affermazioni, non provando alcun timore per le possibili contestazioni rivolte alle sue esternazioni fatte di pensieri spesso qualunquistici e incentrate sull’apologia della guerra tra poveri.

Il movimento delle Sardine (l’immagine della Pantera universitaria degli anni ‘90 era però più aggressiva e scattante) diventa così un vero e proprio fulmine a ciel sereno; un’inattesa e salutare iniezione di fiducia, di cultura prescritta a una collettività sfinita a suon di insulti e parole vane.

Non ci sono partiti alle spalle di quei giovani bolognesi, così come non ve ne sono nelle realtà gemelle che lentamente sorgono in tutte le città (a Nord e a Sud, passando per il Centro Italia). Il consigliere leghista che si è travestito da pinguino (divora sardine) passeggiando nel centro del capoluogo emiliano, ha voluto attirare l’attenzione per accusare quella neonata aggregazione di essere la filiazione dei centri sociali. Una teoria strumentale, quanto mai lontana dalla realtà.

Alla base delle discesa in piazza delle “Sardine” è possibile rinvenire in gran parte lo scatto vitale di donne e uomini delusi dai partiti di riferimento. Umiliati dall’agonia politica, in cui versano coloro che dovrebbero rappresentarli, hanno dovuto votarsi all’autorganizzazione, abbandonando qualsiasi vessillo elettorale. Un’assenza di bandiere in piazza banalizzata dalla parlamentare Meloni, la quale indica in questo la vergogna della Sinistra a mostrarsi.

La vergogna è di certo un ambito in cui la deputata ha scarsa esperienza (non ne ha provata nei riguardi della senatrice Segre e neanche verso quegli immigrati messi alla pubblica berlina da due suoi consiglieri comunali bolognesi) tant’è che ha male interpretato le conseguenze di un antico rito del mondo progressista italiano: rappresentare disastrosamente desideri e speranze dei propri elettori e tacere innanzi a ingiustizie sociali e maree nere crescenti.

A Torino le “Sardine” si sono date appuntamento per il 10 dicembre prossimo. Molti “big” subalpini hanno già aderito al flash mob previsto in concomitanza dell’arrivo sotto alla Mole di Salvini: persone di spicco sovente indicate come pilastri del cosiddetto “Sistema Torino”. Un dato che non è fonte di preoccupazione per i promotori della protesta, poiché il bello dei movimenti è che al loro interno contano spinte emozionali ed idee, non certo il blasone oppure lo status di coloro che vi partecipano. Tutti contano per uno, e non in base ai loro interessi o alla forza economica di cui sono detentori, a garanzia della coerenza collettiva e nel rispetto dello spontaneismo di chi si riversa in piazza.

Il silenzio è stato rotto e il monopolio della parola finalmente non è più tale.

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