POLITICA & GIUSTIZIA

Rosso resta in carcere

Il Tribunale del Riesame respinge la richiesta di scarcerazione dei legali dell'ex assessore regionale. L'avvocato Piazzese: "Non esiste alcuna esigenza cautelare, ha chiarito tutto, nessun elemento dimostra un collegamento con la criminalità organizzata"

L’ex assessore della Regione Piemonte Roberto Rosso, arrestato il 20 dicembre scorso, resta in carcere. Lo ha deciso il Tribunale del Riesame di Torino, respingendo la richiesta di scarcerazione   avanzata dal legale dell’ex esponente di Fratelli d’Italia, Giorgio Piazzese. “Rispetto ma non condivido la decisione del Tribunale del Riesame – commenta l’avvocato – non sussiste alcuna esigenza cautelare perché non vi è agli atti alcun elemento che dimostri un collegamento né in allora né tantomeno oggi con la criminalità organizzata. In trent’anni di attività politica Rosso non ha mai avuto nulla a che fare con la criminalità organizzata. La tesi della procura è che Rosso sia ricattabile in quanto non avrebbe confessato. Rosso ha reso interrogatorio in cui ha ricostruito tutti i passaggi della vicenda e ha collaborato con i pubblici ministeri. Non può certo confessare un reato che ha la consapevolezza di non aver commesso". Il pm Paolo Toso, titolare con Monica Abbatecola dell’inchiesta, aveva chiesto al tribunale del Riesame di respingere la richiesta, in quanto convinto del fatto che Rosso non avesse detto la verità e che fosse in qualche modo “ricattabile”. Secondo il legale “Rosso era totalmente ignaro del fatto che gli altri indagati potessero essere collegabili alla criminalità e se lo avesse anche soltanto immaginato, avrebbe certamente evitato qualsiasi rapporto con loro. Aspetto di leggere le motivazioni che il collegio si è riservato di depositare per valutare l'eventualità di un ricorso in Cassazione”.

Rosso, secondo gli inquirenti, in occasione delle elezioni regionali della scorsa primavera avrebbe fatto avere tramite due intermediari del denaro ai presunti boss Francesco Viterbo e Onofrio Garcea in cambio di un pacchetto di voti. Un totale di “almeno cinquemila euro” in base all’avviso di chiusura indagini confezionato a tempo di record dalla procura subalpina. Inutilmente, finora, ha tentato di convincere gli inquirenti che quei soldi erano solo un contributo per lo svolgimento della campagna elettorale sul territorio e che non sapeva di avere a che fare con personaggi legati alla criminalità organizzata. Ha solo ammesso di avere commesso “una follia” perché lui, da asso pigliatutto delle preferenze per il centrodestra in Piemonte (era candidato di FdI) di quei voti non aveva bisogno. Ma la somma non fu rendicontata. E l’imprenditrice Enza Colavito, uno degli intermediari, ha detto ai pm di avere detto a Rosso che “quei due erano degli spacciatori”.

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